Woody Allen tra maghi, Europa e commedia

Esiste per Woody Allen un universo “perfetto”. Luoghi, persone, suoni che fanno parte delle famose «cose per cui vale la pena vivere». Un mondo che puntuale torna nei suoi film, in maniera più o meno evidente: dichiarazioni d’amore che scandiscono la sua lunghissima filmografia, a volte piccoli segni di stile, che in altre occasioni diventano omaggi dichiarati.

La Provenza, gli anni Venti, i maghi, la commedia romantica: Magic in the moonlight arriva dopo il bellissimo Blue Jasmine e si inserisce nella produzione “media” del grande regista su cui (al quarantacinquesimo lungometraggio dovrebbe esser ormai chiaro) è impossibile emettere sentenze dal sapore definitivo. E così come dopo To Rome with love è arrivato Jasmine, ora con questo nuovo film si è costretti a un’altra sterzata, che può apparire altrettanto brusca. Ma solo in apparenza, perché dentro questa commedia sono celati molti dei temi prediletti dell’autore newyorkese, che sceglie di volta in volta il modo e il tono per declinarli. Il rapporto tra verità e inganno, innanzitutto, già portato sullo schermo e ora riproposto nella storia della bella Sophie, giovane sedicente medium che sta facendo parlare di sé mezza Europa (attenzione, siamo a metà degli anni Venti prima dell’inizio dell’orrore), e alle cui vicende si appassiona l’esperto illusionista Stanley Crawford che va sulle sue tracce per smascherarla. Lui stesso, razionale studioso di magia va in scena in teatro sotto mentite spoglie nei panni di un mago cinese, e cinico e preparato su ogni tipo di trucco parte convinto di disinnescare anche questo inganno. Che (ovviamente) non sarà così semplice da scoprire.

Altrettanto ovvio che non è questo il solo inganno che interessa Allen che, dentro il suo meccanismo all’apparenza semplice, nasconde come di consueto tante tracce su piani differenti. Magic in the Moonlight è così innanzitutto un omaggio alla magia del cinema e a un’epoca che per Woody Allen resta “incantata”. Ed è anche la maniera per tornare su argomenti già trattati in altro modo in altri film, per contrapporre razionalità e scienza all’ignoto, alla speranza di credere in ciò che non si può provare. Tutto questo in una cornice quasi fatata, quella del sud della Francia all’inizio del secolo scorso, l’Europa che da diverso tempo è diventata protagonista dei suoi film.

Il ritorno in “luoghi” conosciuti (non solo geografici, lo abbiamo visto) però nasconde anche delle insidie. Innanzitutto quello della “maniera”, che replicando il modello amato si rischia sempre. Un’insidia a cui Magic in the Moonlight non sfugge, quando sembra replicare un po’ stancamente i colpi già riusciti, senza rischiare mai, senza esporsi mai davvero. Allo spettatore però resta il compito di scoprire cosa si cela davvero dietro il paravento, quando il mago lo tira per far sparire l’elefante. Quando l’illusione entra in campo, mescolando le carte sullo sconfinato tavolo da gioco dell’universo.

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