Vite galleggianti come pesci nell’acquario

Ci sono libri su cui ci si addormenta. Ma non per noia. Piuttosto per la “fatica” che impongono al lettore prima di concedersi e aprire le porte al proprio segreto, custodito ben oltre la patina delle parole impresse sulla pagina. Sono libri che chiedono pazienza e un pizzico di tenacia, ma che poi ricambiano con

la moneta pregiata delle emozioni, come gli amori conquistati con fatica, desiderati, sudati prima ancora di essere pienamente vissuti. Questo romanzo della tedesca Angelika Overath, ottimamente tradotto da Laura Bortot per i raffinati torchi di Keller - rientra a pieno diritto in questo novero: parte piano e incede lento, come lento, ai limiti dell’immobilismo, è il mondo artificialmente ricreato in un enorme acquario piazzato all’interno di un aeroporto internazionale e accudito con un amore quasi materno da Tobias. Un uomo abituato a vedere la realtà attraverso il filtro distorcente del liquido in cui si muovono i suoi “amici” acquatici (anemoni, coralli, cavallucci, lumache di mare, razze e altri sgargianti branchiati) cui rivolgono l’attenzione - spesso inebetite dal fuso orario o stravolte dalla stanchezza - anche le migliaia di viaggiatori che quotidianamente sostano nelle sale d’attesa dello scalo, specchiando le proprie esistenze in quelle così apparentemente placide e indolori dei pesci.

Tobias non chiede altro alla sua vita, cadenzata dai ritmi immutabili delle cure all’acquario (nutrire i diversi esemplari, tenere puliti il reef e lucidare le vetrate dalle incrostazioni): «Guardo gli aerei e osservo i pesci - racconta - finché non passa il tempo. E magari mi metterò a dormire». Non parla volentieri ai passeggeri, teme di lasciarsi coinvolgere nelle loro vite e si indispone allorché qualche turista prova a scattare fotografie con il flash ai “suoi” esemplari, disturbandoli nei loro colorati volteggi.

Ma quando si imbatte in una fotografa professionista in piena crisi, lavorativa e personale, e che davanti allo spettacolo dell’acquario depone il suo obiettivo - ammirata da tante bellezza e quiete - qualcosa scatta in Tobias. L’acquarista si fa più socievole, al punto da svelare alla sconosciuta (Elis) tutti i segreti per accudire come si deve un acquario di quelle dimensioni, provando così in qualche modo a portarla nel suo mondo sottomarino e a condividerne la magia.

C’è quindi un terzo personaggio, senza nome (“il fumatore”), che si aggira tra i box delle compagnie aeree inchiodando lo sguardo sull’attrazione naturalistica dello scalo. È un affermato e maturo docente universitario che ha appena visto sfaldarsi il suo matrimonio dopo 30 anni e che prova a farsi una ragione di «quel piccolo cambio di stato civile»,, concedendosi una sigaretta e un bicchierino come un adolescente impreparato alla prima delusione affettiva. Il professore riguarda a rebours il proprio vissuto e si rende conto - davanti a quel brulicare di pinne fra docili correnti e frizzanti bolle d’aria- che per inseguire la carriera non ha davvero mai vissuto, ignorando la propria mortalità, e percependo d’improvviso il terrore di lasciarla, la vita, senza una persona accanto con cui dividere la pena del trapasso.

Con una scrittura cesellata, in cui descrizioni accuratissime si alternano a momenti più riflessivi e intimi, Overath ricama atmosfere e situazioni solo all’apparenza leggere, che si depositano sul palato del lettore lasciandogli un retrogusto agrodolce, che è poi quello della vita con i suoi molti dolori e le sue poche soddisfazioni.

Una vita che a volte «danneggia la salute» ma che è pur sempre l’unica che ci è dato di vivere.

Ci sono libri su cui ci si addormenta. Ma non per noia. Piuttosto per la “fatica” che impongono al lettore prima di concedersi e aprire le porte al proprio segreto....

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