Ci sono libri su cui ci si addormenta. Ma non per noia. Piuttosto per la “fatica” che impongono al lettore prima di concedersi e aprire le porte al proprio segreto, custodito ben oltre la patina delle parole impresse sulla pagina. Sono libri che chiedono pazienza e un pizzico di tenacia, ma che poi ricambiano con
Tobias non chiede altro alla sua vita, cadenzata dai ritmi immutabili delle cure all’acquario (nutrire i diversi esemplari, tenere puliti il reef e lucidare le vetrate dalle incrostazioni): «Guardo gli aerei e osservo i pesci - racconta - finché non passa il tempo. E magari mi metterò a dormire». Non parla volentieri ai passeggeri, teme di lasciarsi coinvolgere nelle loro vite e si indispone allorché qualche turista prova a scattare fotografie con il flash ai “suoi” esemplari, disturbandoli nei loro colorati volteggi.
Ma quando si imbatte in una fotografa professionista in piena crisi, lavorativa e personale, e che davanti allo spettacolo dell’acquario depone il suo obiettivo - ammirata da tante bellezza e quiete - qualcosa scatta in Tobias. L’acquarista si fa più socievole, al punto da svelare alla sconosciuta (Elis) tutti i segreti per accudire come si deve un acquario di quelle dimensioni, provando così in qualche modo a portarla nel suo mondo sottomarino e a condividerne la magia.
C’è quindi un terzo personaggio, senza nome (“il fumatore”), che si aggira tra i box delle compagnie aeree inchiodando lo sguardo sull’attrazione naturalistica dello scalo. È un affermato e maturo docente universitario che ha appena visto sfaldarsi il suo matrimonio dopo 30 anni e che prova a farsi una ragione di «quel piccolo cambio di stato civile»,, concedendosi una sigaretta e un bicchierino come un adolescente impreparato alla prima delusione affettiva. Il professore riguarda a rebours il proprio vissuto e si rende conto - davanti a quel brulicare di pinne fra docili correnti e frizzanti bolle d’aria- che per inseguire la carriera non ha davvero mai vissuto, ignorando la propria mortalità, e percependo d’improvviso il terrore di lasciarla, la vita, senza una persona accanto con cui dividere la pena del trapasso.
Con una scrittura cesellata, in cui descrizioni accuratissime si alternano a momenti più riflessivi e intimi, Overath ricama atmosfere e situazioni solo all’apparenza leggere, che si depositano sul palato del lettore lasciandogli un retrogusto agrodolce, che è poi quello della vita con i suoi molti dolori e le sue poche soddisfazioni.
Una vita che a volte «danneggia la salute» ma che è pur sempre l’unica che ci è dato di vivere.
Ci sono libri su cui ci si addormenta. Ma non per noia. Piuttosto per la “fatica” che impongono al lettore prima di concedersi e aprire le porte al proprio segreto....
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