Venezia: un trionfo annunciato. Ma stavolta ha vinto chi c’era

Si è chiusa l’edizione 2020 della Mostra del cinema: giusto il Leone a “Nomadland”, mentre lasciano dubbi altre scelte della giuria

Adesso si può dire: ha vinto chi c’era. Il primo verdetto, forse il più importante, della Mostra del cinema 2020 è questo. L’edizione numero 77, la più difficile e la più sofferta va in archivio con un giudizio che è stato stilato prima che la giuria guidata da Cate Blanchett emettesse il suo. Alla fine la Biennale e il direttore Alberto Barbera hanno avuto ragione e sono stati premiati. L’ostinazione con cui hanno voluto a tutti i costi la Mostra 2020, primo grande festival internazionale con pubblico e accreditati, si è trasformata in una scelta ponderata e ben preparata. Lo si era detto alla vigilia: la grande sfida della Mostra di Venezia sarà quella di dimostrare che il cinema in sala ha ancora un futuro, che può convivere con le norme di distanziamento e di sicurezza in epoca di covid 19. E i dieci giorno di festival hanno dimostrato innanzitutto questo: prenotazioni on line per pubblico e accreditati, posti divisi e distanziati in sala, conferenze e incontri su prenotazione, ingressi separati, proiezioni con obbligo della mascherina: le perplessità non erano poche e invece tutto è funzionato a meraviglia e una strada è stata indicata. Per riportare il pubblico in sala bisognerà seguire questo esempio, nei grandi festival e nei cinema di città.

Il secondo verdetto, quello della giuria è invece in chiaroscuro. Giusto il Leone d’oro a “Nomadland” di Chloé Zhao su cui sembra essere stata costruita una selezione in un anno complesso, con pochi film a disposizione, lavorazioni interrotte, conferme arrivate all’ultimo minuto. Il tema di questo road movie sociale non è nuovo ma il film raggiunge il cuore e la mente. Più difficile comprendere le scelte del Leone d’Argento a “Wife of a spy” di Kurosawa Kiyoshi - decisamente convenzionale nella sua eleganza - e il Gran Premio della giuria a “Nuevo orden” di Michel Franco che sembra perdere l’equilibrio sul crinale complesso che si è scelto: alla fine la violenza della sua storia sembra più mostrata (e quasi compiaciuta) che criticata. Così come il premio per la sceneggiatura a “The Disciple” lascia più di una perplessità. Avrebbe invece meritato un riconoscimento più prestigioso Andrei Konchalovsky a cui è andato Premio Speciale della Giuria per “Cari Compagni”.

In un’edizione ricca di registe donne e di grandi ruoli femminili invece Vanessa Kirby porta a casa una Coppa Volpi meritata, mentre il premio come miglior attore a Pierfrancesco Favino per “Padrenostro” suona più come una compensazione per non lasciare fuori dal palmares gli italiani, una volta scelto di non premiare né “Notturno” di Rosi né “Le sorelle Macaluso” di Emma Dante.

Ma i verdetti delle giurie si rispettano e quest’anno, come detto, ancora di più. Perché il premio più importante se lo devono dividere in tanti, al Lido. La speranza è che dopo questa prova difficile e vincente il futuro sia più roseo. Per Venezia e per il cinema.

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