Venezia, “Tracks” apre il concorso

VENEZIA 70 «Bisogna far indurire i piedi e il carattere prima di partire»: la prima lezione per Robyn Davidson arriva in maniera brusca, senza sconti, scarna e polverosa come la terra che si accinge ad attraversare. Indurire i piedi per non avere vesciche nel cammino, allenare tutto il resto per non finire preda della paura, del silenzio, dello spazio immenso che si sta per affrontare. Tracks, ovvero “orme”, come il titolo del libro che la viaggiatrice Robyn Davidson ha scritto dopo aver percorso i 2700 chilometri che separano Alice Spiring (nell’Australia centrale) all’Oceano Indiano. Orme come quelle lasciate nella terra e nella sabbia da questa ragazza coraggiosa che nel 1977, mentre il resto del mondo vive contrasti politici e culturali fortissimi, decide di cercare un’altra strada, una “sua” strada, affrontando una sfida pericolosa e all’apparenza quasi impossibile: attraversare il deserto australiano con la sola compagnia di un cane e di quattro cammelli. «Perché lo faccio?»: lei stessa non ha una risposta che appare plausibile alla domanda che tutti fanno, e che arriverà forse solo al termine del viaggio, quando la sua strada sarà completata e le tracce nella sabbia saranno profonde.

Diretto dall’australiano John Curran, Tracks ha aperto il Concorso alla 70esima edizione della Mostra del cinema di Venezia; un’opera “agli antipodi”, un “biopic” interpretato da Mia Wasikowska (che aveva già interpretato la “Alice” di Tim Burton) letteralmente sulle tracce di questa straordinaria viaggiatrice, che della sua esperienza ha lasciato un libro e un reportage, pubblicato dal National Geographic, diventato famosissimo. Un film tratto da una storia bellissima e affascinante che purtroppo ha però una regia che sembra fin troppo convenzionale, che restituisce la straordinaria avventura della “signora dei cammelli” in maniera troppo didascalica, senza il respiro profondo o l’orizzonte della terra sconfinata di cui si parla. Mancano (o si percepiscono appena) il senso vero della paura, l’urgenza, la fame del viaggio e della strada che sono sì raccontati, ma non trovano la giusta dimensione.

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