VENEZIA Sollima chiude la trilogia: “killer” e cinema di genere

Un film più notturno che crepuscolare in una Roma che sembra la Los Angeles di Blade Runner

Roma sembra la Los Angeles di Blade Runner, con i lampi degli incendi all’orizzonte e in strada vecchi “cacciatori” che inseguono le loro prede. Stefano Sollima chiude la sua trilogia sulla Capitale con Adagio, un “romanzo criminale” che dovrebbe avere il sapore dell’epilogo su fatti e misfatti della città, dopo i suoi “Acab” e “Suburra”. Più notturno che crepuscolare il film (presentato in Concorso) racconta di guardie corrotte e ladri invecchiati, «morti che camminano» con cui il regista decide di fare i conti, puntando su un cast che allinea Pierfrancesco Favino, Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Adriano Giannini e Francesco Di Leva.

Un ragazzo si è fatto nemiche le persone sbagliate e ora deve far perdere le sue tracce nella città che è minacciata dall’apocalisse degli incendi, dai blackout che fanno finire uomini e cose nel buio e dai buoni che invece sono più cattivi dei vecchi capi banda... Il regista dirige con piglio meno muscolare del solito (come dichiarato fin dal titolo) e non perde il filo del cinema di genere che - come sempre - maneggia con esperienza. La sua storia si dipana tra figli che rischiano di scontare le colpe dei padri e, forse, un filo di speranza che si intravede al termine della notte.

Anche David Fincher mette mano al genere per il suo The killer, tratto dalla graphic novel “Le tueur”, con Michael Fassbender nei panni del sicario del titolo, un assassino a pagamento silenzioso e meticoloso, che deve fare i conti con l’imprevisto dopo aver fallito un incarico. Il film (targato Netflix e inserito in Concorso) è diviso in capitoli che seguono i passi del protagonista, in cerca di vendetta e a caccia dei suoi stessi committenti tra città, false identità, assassini professionisti e una scintilla che sembra non scattare.

Una luce che invece si accende nell’aula giudiziaria di The Caine mutiny court-martial, film di William Friedkin che la Mostra ospita postumo dopo la morte del maestro americano e che assume il sapore del (giusto) omaggio al regista. Un “legal” che nasconde infinite sottotracce quello di Fiedkin che rimette mano al caso degli ammutinati del Caine per parlare di giustizia, scelte giuste e decisioni sbagliate, giudizio, perdono e colpa. In un aula di corte marziale avvocati e giudici cercano di stabilire la verità, sentendo i testimoni e gli accusati, in un racconto che ribalta le posizioni e instilla il dubbio. Fino all’epilogo che mette tutti quanti con le spalle al muro. A partire dagli spettatori.

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