VENEZIA La legge semplice del mare e il “Comandante” Todaro

Un film che ha l’impianto del kolossal ma anche lo sguardo sulle piccole storie

Davanti al mare, come insegna Jean-Claude Izzo, tutto è più semplice. Anche capire che non ci può essere dubbio né margine d’errore: chi è in balia della tempesta, chi è naufrago tra le onde va salvato. Portato a bordo e tolto dal pericolo e dalla morte sicura.

“In mezzo al mare siamo tutti alla stessa distanza da Dio” scrive Edoardo De Angelis nel prologo di “Comandante”, il suo film che mercoledì sera ha aperto (in Concorso) l’80esima Mostra del cinema di Venezia e che racconta la storia vera del comandante Salvatore Todaro e dell’equipaggio del sommergibile Cappellini che nell’ottobre nel 1940, in pieno oceano Atlantico, scrissero una pagina fondamentale e misconosciuta della Storia italiana salvando l’equipaggio del mercantile belga Kabalo dopo averlo affondato.

Un atto di eroismo “semplice” fa capire il regista (che ha firmato la sceneggiatura con Sandro Veronesi basandosi sul libro omonimo che i due hanno pubblicato per Bompiani) se si legge l’impresa dal punto di vista del mare. Una parabola perfetta per i giorni nostri, in cui i naufragi sono cronaca quotidiana, e il salvataggio di uomini e donne e bambini sembra dover rispondere a una legge differente da quella del mare (e dell’umanità). E per fugare ogni dubbio la parola «porto sicuro» - familiare a tutti noi - risuona più volte nei dialoghi tra Todaro e i suoi uomini. Il comandante non era certo un pacifista, era un marinaio e un soldato in guerra, ma era anche un uomo che aveva imparato la regola di chi va per mare, racconta questo film che ha l’impianto del kolossal (15 milioni di budget) ma anche lo sguardo sulle piccole storie, usate come metafora del grande racconto universale. Piccole storie come quelle del corallaro Stumpo da Torre del Greco, che si sacrificherà per liberare il sommergibile a quasi mille miglia da casa, o quella del cuoco di bordo che cucina per i compagni «e va in guerra come una madre». Sono i tasselli di quel «bordello meraviglioso e putrido che è il miscuglio che fa l’Italia», sono la nostra storia di soli ottanta anni fa.

Il racconto cinematografico di De Angelis segue quello del libro anche se paga un certo eccesso di enfasi in alcuni momenti (funziona benissimo ad esempio quando cambia il punto di vista e mette lo spettatore direttamente nei panni fradici dei naufraghi). Pierfrancesco Favino nei panni di Salvatore Todaro riesce ad aggiungere un nuovo accento e una nuova prova camaleontica al suo curriculum, così come al suo fianco sono convincenti i volti tesi e scavati degli antieroi suoi compagni.

E il messaggio del film alla fine arriva forte e chiaro, semplice nella sua drammaticità. Mischiando Omero e la cronaca dei nostri telegiornali.

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