VENEZIA Il viaggio di Garrone sulle rotte dei migranti

In Concorso “Io capitano” e la tratta di uomini verso l’Europa: un film duro ma anche fiabesco

«Segui lo zero, zero è il Nord. E Nord è la salvezza». Matteo Garrone racconta il viaggio di Seydou e Moussa che partono da Dakar, Senegal, per raggiungere l’Europa e il sogno di una vita migliore. E il suo Io capitano (presentato ieri in Concorso all’80esima Mostra del cinema di Venezia) è un tassello importante che si aggiunge a una delle tracce che tengono in piedi questa edizione del festival.

Sospeso tra realismo e sogno Garrone descrive la traversata nel deserto e poi quella del Mediterraneo senza risparmiare durezze allo spettatore, ma ammanta anche il suo film di un tono a tratti fiabesco, come quando fa spiccare il volo ai suoi personaggi quasi a volerli sollevare dalle sofferenze terrene e rendere il suo messaggio ancora più universale.

La vita a Dakar prima, il villaggio e poi l’Europa vista dallo smarphone. Il desiderio dei due ragazzi di partire fa da prologo al racconto che presto si sposta nel deserto, che Seydou e Moussa scelgono di affrontare nonostante vengano messi in guardia sui pericoli del viaggio. Io capitano ha uno svolgimento lineare e assai intellegibile, scelta che il regista evidentemente fa per rendere tutto ancora più diretto e senza possibilità di fraintendimento. Solo quando i due sono nel deserto sceglie di virare verso il sogno e in una sorta di “miracolo” trasporta i personaggi in volo sulla tragedia, quasi a volerla guardare dall’alto per risparmiare loro un po’ della sofferenza.

Il racconto attraversa i confini, passa dal Senegal al Mali e quindi alla Libia, mostra i trafficanti di esseri umani, i centri di detenzione, le sofferenze dei disperati in fuga trasformati in merce. L’umanità che resta e unisce gli ultimi della terra, ma anche la legge spietata della sopravvivenza che li può dividere.

Come si trasforma Seydou nel capitano del titolo? Al comando di una bagnarola nel cuore del Mediterraneo, tra le onde con lo sguardo al Nord della bussola, lui che è nato nel deserto e non sa nemmeno nuotare? È evidente il desiderio di Garrone di raccontare la sua storia nella maniera più lineare possibile, descrivendo il dramma delle migrazioni verso l’Europa senza retorica e puntando su una storia intima, quasi personale, per non perdere di vista lo spettatore. Se il taglio di “Green border” di Agniezka Holland era quasi documentaristico, “Io capitano” vira su colori, suoni e musiche diametralmente opposti, per arrivare però allo stesso obiettivo. E tra la sabbia del deserto e il buio del mare di notte non si può restare indifferenti a ciò che il cinema sa raccontare e alle domande che pone.

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