Uomini come vecchi alberi in “Joe”

VENEZIA 70 Sono come gli alberi che devono far abbattere Joe e Gary: fragili anche se sembrano imponenti, in realtà malati e destinati a cadere per far posto a piante più sane.

Sono identici Joe (Nicolas Cage) e Gary (Tye Sheridan) anche se potrebbero essere padre e figlio. Avrebbero dovuto, anzi, per sperare in una salvezza possibile, anche solo per immaginarla, ma non hanno potuto perché Gary un padre ce l’ha, un ubriacone che lo picchia e vive di espedienti, e quello di Joe chissà dov’è finito. Loro due invece sono capitati in una cittadina del profondo sud dell’America uscita dalla penna di Larry Brown, autore di questa struggente ballata intitolata semplicemente “Joe” e portata sullo schermo da David Gordon Green (presentata in Concorso a questa edizione della Mostra del cinema).

È un universo popolato da “perdenti” quello dello scrittore americano, un mondo di “loser” che vivono ai margini e con nessuna speranza di farcela. Joe è uno di loro: lavora nei boschi anche se non è proprio un taglialegna e sta con i piedi piantati in quella terra come se fossero radici che non gli permettono di andare altrove. Radici che tengono anche Gary vincolato alla sua famiglia, alla casa che sembra una baracca, al padre violento e alla sorella che ormai non parla più. Stanno in equilibrio, indecisi come il ragazzo o a rovistare tra i rifiuti come il vecchio padre che balla disarticolato sotto la pioggia

Il loro incontro è inevitabile in questa trama che incrocia i destini dei simili, tra onore, disperazione e regola morale, ed è l’occasione per avviare un percorso di redenzione e di risalita verso la luce. Nel testo di Larry Brown, scrittore-pompiere del Mississippi che solo in età adulta ha avuto la possibilità di pubblicare i suoi libri che gli hanno portato il giusto riconoscimento, i temi che ricorrono sono quelli della famiglia, del perdono e della vendetta, confronti “biblici” tra padri e figli che si scontrano fino al compimento della tragedia, fino all’epilogo che anche questo film insegue, con una regia scarna e “classica”, che non concede e non attenua nulla della durezza dell’argomento. Al centro dell’interesse del regista ci sono i rapporti tra i familiari, i vincoli di sangue, l’ineluttabilità della sorte che tocca ai protagonisti, che compiono un cammino segnato da trappole e strapiombi che non si possono evitare.

In tutto questo c’è al centro un barbuto Nicolas Cage che appare ispirato come poche altre volte, al fianco del bravissimo Tye Sheridan (visto in “Tree of life”) ed entrambi sono perfetti per restituire il respiro di questa storia senza tempo, di conflitti e valori universali, in pericolo come gli alberi di una foresta che l’uomo ha trovato la maniera di uccidere e che non può più essere eterna.

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