Una risata dolceamara

su lavoro e precariato

Paola Cortellesi, Luca Argentero e Paolo Ruffini in una foto di scena

Max fa il giornalista in una testate locale, è bravo e svelto, ha il fiuto della cronaca ed è “in coda” al giornale, in attesa di assunzione. Irma è una dottoressa stimata, con un curriculum impeccabile, il fuoco sacro della medicina ed è senza contratto. Samuele infine è un brillante ricercatore di diritto, un giovane studioso e promettente professore che scrive tesi e pubblicazioni che vengono puntualmente firmate da altri e ha un ufficio ricavato dentro i bagni dell’università. Sono tutti bravi, pieni di buone intenzioni e di voglia di fare. E soprattutto sono tutti precari.

È una commedia girata al tempo della flessibilità C’è chi dice no di Giambattista Avellino, film che “ruba” il titolo a Vasco Rossi e tenta una cosa poco praticata dal nostro cinema (ma che purtroppo riesce solo in parte): mettere le storie di Max (Luca Argentero), Irma (Paola Cortellesi) e Samuele (Paolo Ruffini), vere, attualissime e tragiche, al servizio di una trama leggera e spiritosa, che consenta agli autori e al regista di parlare di cose serissime mantenendo il sorriso sulle labbra.

I tre precari in lotta con un lavoro che non c’è e che dichiarano guerra ai raccomandati, in una società che non premia i più bravi: Max, Irma e Samuele che per tutta la loro ancora giovane vita hanno visto passarsi davanti schiere di incapaci decidono di andare al contrattacco e si trasformano nei “pirati del merito”, una cellula clandestina che dovrebbe manomettere il sistema clientelare e farlo andare in frantumi senza armi ma con azioni incruente, surreali e al limite con la legge.

È un tentativo singolare e interessante quello di virare in commedia un tema complesso come quello del lavoro e, in particolare, della raccomandazione. Il regista, mantenendo una cifra “leggera”, affronta argomenti reali, impegnativi, con l’obiettivo di renderli leggibili. Ma con il rischio, non fugato fino in fondo, di finire a riderci sopra. Insomma un progetto, quello di C’è chi dice no, che resta tutto nelle intenzioni ed è privo di quei requisiti che permetterebbero al film di colpire davvero nel segno, dove e come vorrebbe. I personaggi tratteggiati, per risultare sempre e comunque simpatici (tanto i precari quanto i raccomandati) diventano presto delle macchiette e le loro vicende con il passare del tempo risultano improbabili, i contorni caricaturali. Il barone dell’università, il genero “scemo” assunto al posto del ricercatore studioso, la giovane giornalista raccomandata e “figlia di”, la dottoressa straniera e con il fisico da modella che “soffia il posto” a quella che lo meriterebbe… Il film vorrebbe mettere alla berlina comportamenti e stereotipi, ma manca davvero del coraggio che servirebbe per risultare urticante, indispettito e realmente arrabbiato con quei vizi e quei comportamenti che desidera condannare. Finisce così per il restare a mezza via, con un sorriso amarognolo stampato sul viso, ma senza la giusta dose di cattiveria che sarebbe necessaria (e che a una commedia di questo taglio proprio non dovrebbe mancare). Non si fa beffe del comportamento dei raccomandati, non li sbugiarda veramente, e si ritrova quasi ad assecondarli, in una chiusura che non scegliendo l’happy end dovrebbe essere eversiva e invece appare soprattutto rassegnata.

PRIMA VISIONE - Max fa il giornalista in una testate locale, è bravo e svelto, ha il fiuto della cronaca ed è “in coda” al giornale, in attesa di assunzione. Irma è una dottoressa stimata...

© RIPRODUZIONE RISERVATA