Una favola americana sull’amore

Muccino e i padri immaturi 2.0. Ovvero i trentenni dell’Ultimo bacio diventati grandi e trasferiti in America, “senza passare dal via” come il regista che negli States dovrebbe aver compiuto un percorso di crescita che invece con Quello che so dell’amore fa segnare una brusca battuta d’arresto.

Il nuovo film americano del regista romano che arriva dopo la doppietta “sociale” con Will Smith sposta l’obiettivo, dei generi e della tema, per raccontare di George (Gerard Butler) ex stella del calcio e padre separato che arrivato a fine carriera prova a riconquistare l’affetto del figlio e della ex moglie, andando ad allenare la squadretta di pallone del bambino. Per lui sarà un successone immediato sul campo e soprattutto sulle tribune dove farà strage di cuori tra le madri dei piccoli calciatori, mentre appena più difficile sarà rimettere a posto i cocci della famiglia, obiettivo raggiunto al termine di un percorso di riabilitazione e maturazione.

Una storia di padri separati e di riscatto insomma. Umano e sociale. Argomenti che dovrebbero essere “forti” per il regista italiano e che invece trovano qui una chiave di lettura leggera leggera leggera. Sempre lontana da un qualsiasi contatto con il reale. Aggiungeteci la Ferrari, il gioco del pallone e tutti gli altri “marchi” italiani che dovrebbero di continuo sottolineare la diversità e l’italianità dell’autore e il gioco è fatto: è come mostrare il “Chiantishire” agli stranieri e spacciarlo per il prodotto tipico italiano... Insomma sa di patacca. Mamme superbelle come Chaterine Zeta Jones o Uma Thurman a fare da contorno, mariti gelosi e stupidotti, persino il tema dell’immigrazione accennato ma sempre a volo d’angelo, in chiave comica, quasi a far dimenticare il peso della realtà. Il film dovrebbe emozionare e far pensare ma riesce a farlo davvero solo in pochi istanti, e anche la “chiave italiana” da dare alla commedia americana resta un miraggio. Complicato pure spiegare i 20 milioni (e forse oltre) della produzione che, se per gli Stati Uniti rappresentano il budget di un piccolo film indipendente, in Italia sono una cifra da produzione alta che si fa fatica a “giustificare” davanti alla pellicola (se non forse con il cachet delle star ingaggiate per i ruoli dei protagonisti).

Insomma, è difficile che possa essere il pubblico italiano a “risarcire” il regista dalla fredda accoglienza ricevuta in America: se laggiù può essere stata una difficile collocazione tra i generi a penalizzare il film, in Italia può essere ancora più complesso conquistare gli spettatori, certo più esigenti quando la commedia romantica deve trovare una chiave d’autore. Per Muccino che, pur tra le critiche spesso ingenerose, agli esordi aveva saputo trovare una propria cifra stilistica e una chiave d’accesso al cinema “medio” e di successo, questo film sembra un passo indietro. Da superare rimettendosi al lavoro magari ancora in America, come il regista ha dichiarato di voler fare per non ritornare «sconfitto». O forse riprendendo la via di casa con un progetto più personale e vicino alle proprie corde, archiviando una volta per tutte i problemi di crescita e le situazioni di maturazione dei suoi personaggi.

PRIMA VISIONE - Muccino e i padri immaturi 2.0. Ovvero i trentenni dell’Ultimo bacio diventati grandi e trasferiti in America, “senza passare dal via” come il regista ...

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