Un viaggio dentro Tenco

sull’onda delle emozioni

Baccini restituisce i suoni e le parole del grande artista

Ha deciso di fermarsi prima. A poche ore da quel maledetto Festival, a pochi passi da quella camera d’albergo. Prima che la figura di Luigi Tenco diventasse una cartolina in bianco e nero. Una decisione che a Francesco Baccini è valsa applausi e ovazioni, sabato sera a Lodi, nell’auditorium Bpl di via Poleghi Lombardo, con il suo Baccini canta Tenco. Perché Luigi Tenco ha scritto canzoni ironiche e graffianti e in pochi lo sanno; perché i giornalisti l’hanno inscatolato come ragazzo triste e malinconico, per non pensarci più; perché è stato il primo autore rock con Ciao ti dirò, cantata da Celentano prima e Gaber poi.

La sua vicenda personale e artistica è tra le più discusse e misteriose della canzona italiana, conclusasi drammaticamente con un colpo di pistola in una camera d’albergo, il 27 gennaio 1967. Era a Sanremo con Dalida e la sua Ciao amore ciao, ma il testo era figlio di una censura. L’originale era Li vidi tornare e parlava di soldati che andavano al fronte cantando canzoni d’amore. Un testo che di sanremese non aveva nulla. E che Baccini ha voluto portare sul palco come tributo all’artista innovatore, all’uomo che captava l’indirizzo dei tempi che cambiavano quando ancora la grande rivoluzione culturale del 1968 non era all’orizzonte. Il legame tra Baccini (smocking morbido, capello all’indietro, energia da vendere) e Tenco però è antico. E arriva da un episodio che risale a più di trent’anni fa quando Francesco ancora non era un cantante e in un ascensore di Genova incontrò un uomo che gli disse: «Ma lo sa che lei somiglia tanto a Luigi Tenco?». Era Valentino Tenco, il fratello. Nello spettacolo, scritto a quattro mani da Baccini a Marzio Angiolani, per la regia di Pepi Morgia e gli arrangiamenti di Armando Corsi (chitarrista genovese di lunghissimo corso, che ha scritto pagine di musica insieme ad Ivano Fossati, Samuele Bersani, solo per citarne alcuni), è solo uno degli aneddoti con cui Baccini racconta il suo legame con Tenco e la sua musica fuori dagli schemi. Da Vedrai, Vedrai a Quando a La ballata dell’amore, nel percorso in note c’è tutto il mondo di Tenco e il suo tentativo di aggiustarlo. L’amore, ma anche la politica e l’ingiustizia sociale. Tenco fu il primo a portare sul palco canzoni che parlavano di problemi reali della quotidianità, con parole semplici. Come in Cara maestra, che gli costò l’allontanamento dalla Rai per due anni. «Fa piacere sapere che i tempi sono proprio cambiati» ha detto ironicamente il cantante che sconvolse con il suo album Nomi e cognomi e in cui parlava di Giulio Andreotti, Renato Curcio. A ricostruire tutta la verve ironica dell’artista, i pezzi Hobby, una travolgente versione della Ballata della moda e Giornali femminili, in cui rivivono gli echi degli amici di Tenco, Gaber e De André. E se l’orchestra esplode in Ognuno è libero (con Armando Corsi alla chitarra classica, Filippo Pedol al contrabbasso, Luca Falomi alla chitarra acustica ed elettrica, Luca Volonté al sax, all’armonica e alle percussioni, Marco Fadda alla batteria), l’emozione sale alle stelle per Mi sono innamorato di te. Il cerchio si chiude fermandosi in qualche modo prima e dopo la sua morte, volutamente saltandone i dettagli. Prima c’è solo il clamore, dopo c’è la poesia della Preghiera in gennaio del suo amico Fabrizio De André, «che ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare nella nostra Genova». Suo è l’inno che chiede a Dio di accogliere la sua anima e agli uomini di salvare le sue idee. E ricordare il suo canto che ora corre libero nel vento.

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