“Tre uomini” e la sfida di Natale

Giacomo è un affarista con pochi scrupoli e una moglie in perenne restauro dal chirurgo plastico. Giovanni è il suo autista fedele e devoto, mentre Aldo anche questa volta è la “scheggia impazzita”, un ambulante che incrocerà per caso la strada degli altri due. Ecco confezionato lo spunto per Il ricco, il povero e il maggiordomo, il film che riporta Aldo Giovanni e Giacomo al cinema, nell’arena della “sfida di Natale”. Ma niente cinepanettone, non temete, la battaglia il Trio l’ha sempre combattuta con le proprie armi: quelle della leggerezza che nei momenti migliori si colora con una punta (robusta) di sana cattiveria. Andando in cerca di volta in volta di storie capaci di far risaltare le doti di ognuno dei tre, una combinazione di opposti, una “squadra che vince” che dal palco ha spesso saputo trasferire al cinema i propri successi. Con questo siamo arrivati al nono film e da Tre uomini e una gamba a oggi è facile leggere il percorso compiuto nella ricerca di una chiave di lettura personale per fare la commedia.

Niente battutacce ma anche niente satira sociale o cinema “al tempo della crisi”. Aldo Giovanni e Giacomo hanno da sempre percorso altre strade. È vero che qui mettono in scena un ricco investitore che cade in rovina e un povero ambulante che si arrabatta, ma non è la denuncia sociale a interessarli (artisticamente, si intende). Non c’è equivoco e non c’è inganno, e questo va a loro merito. Il trio al cinema ha sempre cercato altre strade, una maniera per tradurre sullo schermo i successi del cabaret, percorrendo una via differente ma senza snaturare le caratteristiche della “ditta”. Nessuna volgarità, l’uso del corpo e delle “maschere”, una certa derivazione dal teatro degli esordi, affermando sempre la parentela con la cosiddetta “scuola milanese”.

Loro restano quelli dell’infanzia passata a tirar calci al pallone all’oratorio, quelli che è importante partecipare e dare tutto in campo. E va bene ed è giusto così. La partita del cinema di Natale non l’hanno mai combattuta spintonando o scalciando da dietro, non hanno mai calcato la mano e con questo film non fanno altro che ribadire il concetto.

Si divertono e vogliono far divertire lo spettatore in leggerezza, con un occhio ai film tanto amati. E in alcuni momenti ci riescono: allora ecco gli omaggi agli assalti di Kato nella serie di Clouseau o la ricerca della cifra giusta, del tono capace di unire garbo e risata. Il modello potrebbe essere Una poltrona per due, comunque una commedia che per una volta non deve essere “all’italiana” (con tutti i tentativi di emulazione falliti altrove).

Certo l’impressione che rimane sempre all’accensione delle luci in sala è che al cinema il trio AGG sia in qualche maniera frenato, impedito nei movimenti, impossibilitato a liberare la risata che viene meglio in palcoscenico, nei piccoli club del passato e nelle grandi platee del presente. Forse non si è ancora completato il percorso di ricerca di quel progetto (inteso come una sceneggiatura e un regista), in grado di tirare fuori il meglio da loro.

Siamo passati dalle gag e dai personaggi ereditati dal cabaret, montati e sviluppati nei primi film, a progetti più compiuti, come in questo caso, a storie in cui si legge il tentativo di fare “altro”. Ma la sensazione è che non sia arrivato ancora il copione giusto.

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