Torna in azione la banda degli “onesti ricercatori”

«Rimettiamo insieme la banda». Incurante del paragone obbligatorio con Jake, l’altra metà dei fratelli Blues, Pietro Zinni (Edoardo Leo) torna a capo dei “ricercatori” per una nuova avventura della banda, se possibile ancora più sconclusionata, avventurosa e (a tratti) divertente della prima. A convincerlo non è il “fratello” Elwood ma Sydney Sibilia tornato con una buona dose di coraggio dietro la macchina da presa per il sequel di Smetto quando voglio che arriva nelle sale dopo il successo inaspettato e fragoroso del primo film. Coraggio perché senza poter contare sulla componente di originalità dello spunto - che resta il medesimo - la cosa più complessa era ritrovare verve, idee e situazioni per continuare e per legittimare un seguito. E regista, sceneggiatori e produttori non solo hanno rilanciato, ma hanno raddoppiato addirittura, trasformando la storia in saga, con il sequel e una terza puntata girati contemporaneamente e il capitolo finale annunciato già sui titoli di coda. Perché se bisogna farla grossa allora bisogna esagerare e spararla enorme per davvero, facendo il verso ai mostri sacri…

I ricercatori dunque: il secondo film (ovviamente una Masterclass e non potrebbe essere altrimenti) li riprende più o meno dove li aveva lasciati il primo, così come riprende il colore lisergico del girato e i modelli di riferimento. Da I soliti ignoti a Blues brothers, passando attraverso Breaking Bad, la banda diventa “degli onesti” in missione (ma di nascosto) questa volta per conto dei buoni. Al lavoro non più per riscattare carriere universitarie umiliate dal sistema ma per collaborare con la polizia per dare la caccia agli spacciatori e guadagnarsi così il perdono e la fedina penale ripulita. Sibillia conserva la matrice “scorretta” e irriverente che aveva caratterizzato la sua prima avventura - la rivalsa ottenuta fuori dai confini della legge da un improbabile gruppo di coltissimi docenti universitari - ma deve contemporaneamente rinnovarsi per non replicare semplicemente se stesso. E se le battute migliori restano forse nel primo film in questo lavora di regia per realizzare una storia più strutturata, arricchita anche da nuovi personaggi (non tutti indispensabili in verità, anzi qualcuno sembra togliere spazio e aria ai componenti originari). Sibilia (e con lui il produttore Matteo Rovere) però ama il cinema di genere e lo sa maneggiare e così si diverte a trasformare la commedia in “action”, mischiando le carte e le idee (per completare l’opera sono stati partoriti anche un videogame e una storia a fumetti mentre la terza puntata già annuncia altri sconfinamenti introdotti nel corso di questa storia).

Ciò che resta dell’originale e che farà contento chi ha amato quel film è l’alchimia all’interno di questo gruppo di attori che scatta comunque naturale e si conferma il vero valore aggiunto: al regista il merito di aver scelto un pugno di bravissimi caratteristi e di averli piazzati al centro della scena, protagonisti assoluti e liberi di dare il meglio, al servizio di una sceneggiatura che li esalta e divide abbastanza equamente i pesi e le misure all’interno del coro. Masterclass dopo un inizio un po’ laborioso migliora quando prende ritmo e quando smette di replicare troppo se stesso. Così alla fine - aspettando Ad honorem, titolare prima di nascere di un titolo fantastico - fa bene quello che una commedia dovrebbe fare: far ridere. In maniera non banale, anzi quasi colta.

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