Tobagi, spettacolo dal libro della figlia

Una voce femminile, a metà tra quella di una donna e quella di una bambina, sempre sospesa tra gioco e gioia, pianto e paura, dolore e rimpianto, timore e speranza: è quella di Benedetta Tobagi, la bambina che vide uccidere con un colpo di pistola alle spalle suo padre. Al suo fianco una voce maschile, ferma, impostata che è quella della storia, del tempo che passa, dei fatti che scorrono veloci e indifferenti; tra di loro uno schermo su cui scorrono le immagini di archivio e gli spezzoni di telegiornale che raccontano cosa successe in quegli anni in Italia, e in quel giorno nella vita di un giovane padre e della sua bambina.

Tre voci in scena, due umane e una meccanica, per raccontare una sola storia: quella di Walter Tobagi, giornalista del «Corriere della Sera», ucciso da un gruppo terroristico di estrema sinistra, attivo negli ultimi anni settanta e di come sua figlia, orfana, cocciuta e mai rassegnata, non abbia mai smesso di cercarlo, fino a quando non è riuscita a trovare il suo ricordo, la sua figura, il suo pensiero e le paure, tra gli appunti, i libri e le carte scritte fitte.

Come mi batte forte il tuo cuore, in scena al teatro Nebiolo lo scorso venerdì sera, ha inaugurato la stagione tavazzanese 2011-2012 raccontando la storia vera e dolorosa raccolta nel libro scritto da Benedetta Tobagi, impegnata da che ha memoria ha ricostruire, ricordare, ritrovare la forma e il senso di un padre che non ha, praticamente, mai conosciuto.

A dare voce alla ricerca e alla paura di Benedetta gli attori della compagnia Alma Rosè (in scena Annabella Di Costanzo e Manuel Ferreira) che ricostruiscono i fatti di quella terribile mattina del maggio 1980 e quello che è successo dopo nella vita di sua figlia.

Così scopriamo come fosse motivo di imbarazzo e orgoglio insieme, da bambina, sentirsi domandare se fosse parente di quel Walter del quale portava il cognome; allo stesso modo scopriamo la sua difficoltà nel crescere, sempre incerta tra il ruolo di “figlia di” o “vittima di”; tra il dovere di andare avanti e il bisogno di fermasi a guardare quel corpo ferito sul marciapiede.

Una lacerezione continua che si risolve solo in una sera di pochi anni fa quando, per uno sciagurato caso, Benedetta si trova faccia a faccia con l’assassino di suo padre, che le tende la mano; la giovane non la stringe, torna a sentirsi come in quella mattina, e scoppia in lacrime : «Io non voglio che lui non viva, non gli chiedo niente, ma ho il diritto di non perdonarlo». E così, la battaglia in cerca di sé, del proprio padre e di un perché che non c’è, ricomincia ogni volta daccapo.

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