“Thor”, la tragedia e gli eroi di carta

Shakespeare incontra Stan Lee. In una miscela che solo il cinema può rendere possibile. Per una produzione a corto di idee e di sceneggiature i testi classici rappresentano una tentazione imperdibile, e per Hollywood il mondo dei fumetti si è così trasformato nel tempo in un’autentica miniera d’oro: da Spiderman in poi la Marvel è stata letteralmente “saccheggiata”, con alterne fortune dal grande schermo, e si è passati dal kolossal al film d’autore, grazie alle incursioni nel genere di registi come Tim Burton o Nolan che si sono misurati con gli “eroi di carta”. Ora è la volta di Thor (il “mitico Thor” come recitava erroneamente la traduzione italiana dell’albo di Stan Lee e Jack Kirby) che messo nelle mani dello “shakespiriano” Kenneth Branagh lasciava sperare al momento dell’annuncio in un esito simile a quello raggiunto dalla saga del pipistrello, frutto quindi di un incontro fortunato tra i temi del fumetto e quelli letterari cari al regista. Un esito solo in minima parte raggiunto alla fine da questo film che fonde sì la leggenda del Nord (quella del figlio di Odino precipitato sulla terra per scontare le sue colpe) con le atmosfere e i temi del grande Bardo, ma che non riesce però a “legarle” per restituire allo spettatore l’emozione che si aspetta.

Il “mitico Thor” quindi, con la faccia e i muscoli Chris Hemsworth, figlio di un dio pagano che pecca di vanità e dovrà trovare sulla terra la maniera di trasformarsi in eroe. E che sullo schermo è reso riconoscibile e quindi abbastanza fedele al testo e ai disegni dalla regia di Branagh, attento a non deludere le attese e la passione dei fan del fumetto, a cui poi viene servito un racconto che effettivamente filtra i temi della saga di carta con quelli della tragedia classica: dalla lotta per la successione al conflitto tra genitori, figli e fratelli, passando per il legame contrastato e impossibile tra i due amanti che provengono da mondi lontani e distanti.

L’intreccio del film, nel mondo “reale” si sviluppa attorno al lavoro di un gruppo di scienziati che indagano su fenomeni climatici eccezionali e che porteranno in qualche maniera nella direzione del “dio del tuono” Thor, che in abiti borghesi avrà così la maniera di incontrare il suo polo opposto, la fragile dottoressa Jane Foster (Natalie Portman), verso cui sarà inevitabilmente attratto. La trama non può naturalmente riservare grandi sorprese, quello che invece manca del tutto a questa ennesima trasposizione cinematografica di un eroe nato per i fumetti è la carica di mistero e la “costruzione” del personaggio che era riuscita in passato in serie più fortunate (è imminente ad esempio l’arrivo sul grande schermo di un nuovo capitolo di X-man che rientra certamente in questa casella). Insomma il sottotesto è poco sviluppato in questo Thor dove tutto viene lasciato in superficie nella speranza che basti il fascino dell’avventura e dello scontro epico ad appassionare lo spettatore. L’eroe viene un po’ trattato come accaduto in passato con le riletture hollywoodiane dei poemi omerici, e se ne era uscito con le ossa rotte Achille figuratevi il “povero” Thor.

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