
Un inizio d’anno così nefasto non lo si vedeva da tempo. Direi: meno male. Ma, oggi non è così tanto che questo osservatorio critico sul mondo della tv e dei media è costretto, nel bene o nel male, a diventare un obituary. Cioè un “coccodrillo” o celebrazione postuma che si dica, stavolta peraltro di uno dei geni del cinema del secondo novecento e di questo quarto di nuovo secolo. Si sta parlando come ovvio, tanto ne sono piene cronache e social, della scomparsa a 78 anni, per l’acuirsi di un enfisema polmonare, di David Lynch. Per chi non lo sapesse, il regista visionario (nessuno, ma proprio nessuno, manca all’appello per una definizione così scontata del suo cinema) di almeno tre capolavori: Elephant Man, Velluto Blu e Cuore Selvaggio. M’accorgo ora che potrebbe essere un’ideale trilogia. Lasciando da parte l’esordio di Eraserhead e il fallimentare Dune, nonché film successivi come Muholland Drive, Inland Empire, Una storia vera. Sto citando a memoria, prima di entrare in mezzo alle cose televisive che rappresentano l’apice di una carriera “multitasking”, avendo avuto un Lynch pittore, videoperformer, musicista nonché autore di una delle più interessanti strisce a fumetti: Angriest Dog in the World. Cioè il cane più arrabbiato del mondo. Assolutamente straordinario. Come lo è stato “I segreti di Twin Peaks” che tennero incollati alla tv milioni di spettatori che si scervellarono per settimane per capire chi avesse ucciso Laura Palmer. Molti dicono che Lynch fu il primo regista di cinema a girare per la tv. No, si dimentica Hitchcock tanto per restare ai grandi di Hollywood. Sebbene, il maestro del brivido fosse inglese. Di certo i due cineasti furono tra i pochi che seppero piegare il piccolo schermo a storie “bigger than life”. Più grandi della vita. Cioè del cinema.
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