Stefano Corbetta, il mobiliere con la macchina da scrivere

Mobiliere per tradizione, batterista per passione, scrittore per necessità. E in mezzo una collaborazione giornalistica per le colonne de «il Cittadino», su cui ha recensito dischi e concerti (soprattutto di musica jazz) per qualche anno.

Stefano Corbetta, 47 anni, tre figli, è sangiulianese di nascita ma figlio di padre brianzolo e madre toscana (imparentata con Giovanni Papini e con una casa di famiglia edificata proprio accanto al luogo in cui lo scrittore raccontò di aver trovato la fede, nel piccolo borgo di Bulciano) ed è noto in città e nei dintorni soprattutto per il mobilificio omonimo che gestisce lungo la via Emilia. Un’attività ereditata da papà e zio e portata avanti con tenacia - nonostante i venti avversi della crisi e la concorrenza dei grandi “store” fioriti nella zona - insieme al cugino Gabriele nella più classica delle piccole imprese familiari.

Gli amici e gli appassionati di jazz lo hanno conosciuto, negli anni, anche per la sua abilità con le bacchette: forgiata in gioventù dai ritmi un po’ scassoni del rock “duro” e quindi affinatasi con il jazz, “masticato” al punto da portarlo a vincere una borsa di studio negli States (rifiutata per tirar su la famiglia a casa) e a suonare nei principali locali di Milano e hinterland con musicisti di assoluto valore fra cui il chitarrista Joe Diorio e il sassofonista Jerry Bergonzi. Da poche ore, però, a conoscere Stefano Corbetta saranno anche coloro che acquisteranno - e leggeranno - il suo primo libro: un romanzo dal titolo intrigante (Le coccinelle non hanno paura), edito da Morellini dopo una lunga “gestazione” e in libreria - anche a Lodi, San Giuliano e San Donato - da un paio di giorni.

«Ho iniziato a scrivere il romanzo (che aveva un altro titolo, ndr) tre anni fa, spinto dalla necessità di raccontare una storia che mi portavo dentro da tempo - racconta Stefano - e dopo che avevo messo via, una volta per tutte, bacchette e batteria, deciso a percorrere un’altra strada di espressione creativa».

«L’ho fatto prima leggere ad alcuni amici - prosegue - e quindi, raccolti suggerimenti e correzioni, ci ho rimesso mano e ho cominciato a mandarlo agli editori seri , sperando di poterlo pubblicare per il suo valore e non mettendoci dei soldi. Ho ricevuto tanti “no” ma anche altrettanti inviti a non mollare. Mi dicevano che sapevo scrivere, che dovevo insistere. E così ho fatto e alla fine la tenacia e il lavoro sono stati premiati e Morellini ha accettato la sfida. Ora si apre la strada più dura, quella sugli scaffali. Ma sono fiducioso...».

E ne ha qualche ragione, Stefano, perché il suo è un romanzo che non passerà inosservato. Per la vicenda - una storia dolorosa e mai patetica di perdite e sconfitte, che incastra come in una matrioska tante storie personali congiungendo idealmente in un asse spazio-temporale il Sudmilano con il Lodigiano e l’alta Toscana - e soprattutto per il modo di raccontarla. Uno stile, il suo, insospettabilmente maturo, avvolgente, in cui la componente dialogica e quella riflessiva si fondono e riescono nella non facile impresa di tenere il lettore vigile e coinvolto a dispetto della lentezza dell’incedere, voluta quanto necessaria per il tipo di narrazione “filosofica” e intimista che è nelle corde dell’autore.

E il 9 febbraio, per chi vorrà ascoltare dal vivo la sua storia e la sua avventura editoriale, Corbetta sarà intervistato dal critico e musicista lodigiano Marco Denti al Caffè Letterario di Lodi (sotto l’egida della libreria Sommaruga). Appuntamento alle 21. Non mancate.

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