SIAMO SERIAL
”The day of the Jackal”, basata sul romanzo di Forsyth e con Eddie Redmayne nei panni dello Sciacallo
Lasciate perdere per un istante i paragoni e isoliamo il contesto. Quello delle serie tv. Il confronto con il romanzo di Forsyth d’altronde sarebbe pesante per chiunque e già al cinema si è dimostrato una vetta troppo alta da scalare. Insomma non è semplice pensare a una riduzione per lo schermo di uno dei migliori thriller di spionaggio mai scritti e allora facciamo finta che della pietra di paragone venga conservato il titolo, qualche carattere del protagonista e forse nulla più.
”The day of the Jackal” scritto Ronan Bennett e diretto da Brian Kirk, Paul Wilmshurst, Anu Menon e Anthony Philipson è un’altra cosa ma, attenzione, molte altre ancora. Un thriller mozzafiato che cresce con il passare delle puntate, ad esempio. Una storia densa di chiaroscuri che non fa solo dell’adrenalina il suo punto forte. Si parte dal protagonista, ovviamente, lo Sciacallo del titolo, un sicario professionista che conserva una parte del mistero creato dalla penna di Forsyth: qui c’è Eddie Redmayne a dargli un volto nobile e abbastanza enigmatico, quanto basta ad assecondare una scrittura che lo vuole imprendibile, al soldo di misteriosi committenti, in fuga perenne tra i Paesi di mezzo mondo e con decine di identità false da utilizzare. Non deve uccidere il presidente francese, ma non mancano le connotazioni “politiche” nelle sue missioni. Dopo il primo “lavoro” raccontato in avvio della serie (gli episodi sono 10 e, come detto, vanno in crescendo) sulle sue tracce si muovono i servizi segreti britannici e in particolare l’agente Bianca Pullman (interpretata da Lashana Lynch) che alterna al mestiere di spia quello di mamma, con non pochi conflitti interiori. Ecco che allora “The day of the Jackal” recupera la sua duplice natura e diventa quello che dovrebbe essere: un racconto sull’identità, che può essere appunto multipla, e in cui il confine tra bene e male si assottiglia. I cacciatori non sono senza macchia e spesso lo spettatore si trova a parteggiare per il cattivo, non solo perché è il protagonista. Non è facile infatti creare un’empatia per un killer professionista e gli autori creano le condizioni giuste per riuscire nell’intento (senza svelare troppo i collegamenti con l’Ira e la sua causa sono determinanti e vanno fatti risalire all’appartenenza al movimento dello stesso Ronan Bennett accusato di averne fatto parte prima di dedicarsi alla scrittura). Tra chiaroscuri e svolte spesso azzeccate la serie insomma mantiene alta l’attenzione, con la parte “action” che funziona decisamente più di quella “familiare” che sembra cucita addosso al protagonista in maniera forzata, con la parentesi in terra di Spagna che stenta a decollare (nonostante sia stata ingaggiata per l’occorrenza Úrsula “Tokyo” Corberó che però lontana dalla “Casa di carta” non basta a tenere in piedi il suo capitolo).
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