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La quarta stagione di “True detective”

Proseguire nel solco di True detective ha il sapore della sfida. Perché siamo arrivati alla quarta stagione e nella mente resta la prima, l’originale – impareggiabile - quella con l’accoppiata formata da Matthew McConaughey e Woody Harrelson, scritta da Nic Pizzolato e diretta da Cary Fukunaga. Tanto è stato il successo di quella serie, divenuta paradigma per molte altre a venire, e che ha avuto appunto dei “seguiti” diversamente realizzati e riusciti. Ora, appunto, siamo arrivati alla quarta stagione. E questa nuova indagine deve spingersi fino al limite - fisico, geografico, mentale – per catturare l’attenzione dello spettatore smaliziato. Puntando su ingredienti forti come un cast che vede (innanzitutto) il ritorno di Jodie Foster nei panni di una detective. Basterebbe questo - e il ricordo di Clarice Starling che qua e là inevitabilmente fa capolino nell’infinita notte polare - per convincere i riottosi o i semplicemente curiosi.

Siamo in Alaska, a metà del mese di dicembre, all’inizio della lunghissima notte che avvolge quei territori di confine quando spariscono nel nulla gli otto scienziati che lavoravano in una stazione di ricerca artica. Sul caso indaga da subito il capo della polizia locale Elisabeth “Liz” Danvers (Jodie Foster indurita nei lineamenti e da un passato non semplice) a cui si aggiunge l’agente della polizia di stato dell’Alaska Evangeline “Angie” Navarro, una “nativa” che sospetta dei collegamenti con altri casi misteriosi avvenuti in quei territori

La quarta stagione di True detective - come detto - si spinge al confine. Del genere thriller, con venature horror ad esempio, o provocando lo spettatore costretto a un ritmo lento e a un buio che lo avvolge di continuo, e che lo mette nelle stesse condizioni dei personaggi. Gli avvenimenti nei sei episodi (di circa un’ora ciascuno) si susseguono, scavando nel passato dei protagonisti, come nel permafrost che tutto copre e conserva. True detective, da sempre un gioco di coppia, stavolta è anche la storia di un’amicizia al femminile, quella tra Danvers e Navarro che all’apparenza non potrebbero essere più diverse e che - naturalmente - finiscono per attrarsi. La dinamica tra loro due è uno dei motori principali della serie, oltre all’intreccio che porterà alla soluzione del caso. L’altra componente è - come detto - quella geografica, ambientale, con le figure dei nativi che portano con sé riti ancestrali, credenze, superstizioni e visioni che contribuiscono ad aumentare il mistero. Tutto quanto (troppo probabilmente) per rendere questa stagione (diretta dalla messicana Issa Lòpez) degna del titolo ingombrante che porta. E che a sua volta rischia di rivelarsi una “maledizione” peggiore di quella che avvolge le due detective nella notte polare.

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