
SIAMO SERIAL Non uccidere
Netflix rilancia con successo un crime italiano dai toni crudi
Non uccidere, come il quinto comandamento. Un crime dalle storie crude che ancora oggi, a distanza di anni, resta una “perla” nel panorama delle serie tv italiane. Un titolo che risale al 2015, prodotto da Fremantelmedia con la Rai, e che nonostante lo sforzo di “svecchiare” il catalogo noir non è stato sufficientemente premiato dagli ascolti, costringendo la produzione a fermarsi alla seconda stagione.
Valeria Ferro (Miriam Leone) è una bravissima poliziotta e una donna tormentata. È l’ispettrice della squadra mobile di Torino, empatica con le vittime e implacabile con i carnefici. Un’investigatrice che pur di trovare la verità è disposta a tutto. La sua vita è segnata da un passato problematico, la madre Lucia (Monica Guerritore) è stata infatti condannata per l’omicidio del marito, il papà di Valeria. Una vicenda sulla quale si dovrà indagare ancora, soprattutto nel momento in cui Lucia tornerà in libertà, poiché i dubbi su quanto accaduto non mancheranno. Valeria ha sempre la faccia pallida, le occhiaie a contornarle gli occhi, lo sguardo poco incline al sorriso; se ne sta stretta nel suo giubbotto pesante, è una persona di poche parole che osserva attentamente gli altri e preferisce tenere chiusi a chiave dentro di sé i demoni.
“Non uccidere” è ambientato in una Torino senza luce e senza speranza, fredda e per nulla accogliente, quasi nemica. Un’atmosfera che si avvicina a quella della fiction nordica. Il tentativo della Rai di creare un prodotto in grado di tenere testa alle serie tv poliziesche straniere è evidente, così come è evidente lo sforzo di distanziarsi da titoli italiani come “Distretto di Polizia” e “R.I.S.”.
La narrazione di “Non uccidere” procede sempre lenta, tanto che alcune puntate durano più di un’ora. La crudezza è un elemento fondamentale, insieme alla freddezza, delle storie, delle riprese, dei personaggi. Le situazioni affrontate da Valeria Ferro ricordano casi di cronaca nera realmente accaduti, ogni omicidio s’interseca con le sue vicende personali, irrisolte e complicate. Oltre al difficile rapporto con la madre, che ha finito di scontare 18 anni di carcere dopo essersi dichiarata colpevole dell’uccisione del marito, c’è l’altalenante rapporto con il suo capo, Giorgio Lombardi (Thomas Trabacchi), che aveva condotto le indagini.n
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