PRIMA VISIONE Un confronto di uomini, di navi che si muovono lentissime in mezzo all’oceano. Una lotta per il cibo, per l’acqua e per il pane, in un film girato in alto mare: il luogo dove i confini diventano più netti, tutte le situazioni drammaticamente più semplici. Non puoi fingere in mezzo al mare, non puoi nasconderti: alla fine ogni bluff sarà scoperto sempre. Lo sa il capitano Phillips, lo sa anche il suo avversario tanto più giovane ma coraggioso al punto da inseguire una portacontainer a bordo di un guscio di vetroresina spinto a trenta nodi.
È tratto da una storia vera Captain Phillips. Attacco in mare aperto, diretto da Paul Greengrass, ispirato al sequestro del mercantile Maersk Alabama, avvenuto nell’aprile 2009 davanti alle coste della Somalia e raccontato poi in un libro scritto dallo stesso Phillips.
Un film di marinai e di pirati dove il capitano non è invincibile e il pirata non assomiglia ai compagni di Long John Silver. Dimenticate anche Patrick O’Brian e il suo comandante, qui le sfumature sono troppe e tutte a rivelare le debolezze dell’animo umano, messo a confronto con una situazione estrema. Greengrass dirige in maniera nervosa, incredibilmente realistica, esplora le paure, le rende visibili. E se la prima parte del film è di rara spettacolarità, con scene girate in alto mare a grande ritmo che hanno un grado di difficoltà altissimo, la seconda è carica di una tensione che diventa viva, si attacca allo spettatore come il sudore dei protagonisti dentro la scialuppa di salvataggio.
Greengrass non racconta “solo” la storia del capitano Phillips e del sequestro del mercantile Maersk Alabama, ma nasconde dentro le pieghe del suo film molto di più. Il suo è un film che parla dell’enorme distanza che corre tra la realtà e il racconto che emerge dai media tradizionali quando questi fatti accadono (la stessa storia di Philips si era persa nella memoria di quasi tutti noi e a rivederla sullo schermo solo quattro anni dopo sembra impossibile che ciò sia accaduto). Il regista e lo sceneggiatore Bill Ray sono riusciti a restituire un vivo senso di verità alla vicenda, aiutati anche dalla grande interpretazione di Tom Hanks. E da una regia capace di avvicinare i profili psicologici dei suoi personaggi, scavando dentro i caratteri, pur mantenendo altissima la tensione e scegliendo i ritmi del cinema d’azione. Diventano vere le navi che sono solo un puntino sul radar o una sagoma lontana sullo schermo della tv di casa, si trasforma in un animale preistorico il mercantile che attraversa l’oceano con il suo carico fatto di cibo, storie e soprattutto persone.
Guarda con un binocolo il capitano Phillips avvicinarsi quello che si aspetta ma che ancora non ha potuto immaginare, poi si trova di fronte Muse (lo straordinario esordiente Barkhad Abdi) che comanda solo una scialuppa ma che riconosce subito essere molto più che il suo nemico. Greengrass racconta la loro sfida, ma anche le distanze tra mondi lontani, agli antipodi, parla con il suo film del commercio che attraversa i continenti, delle ricchezze dell’occidente che passano nel mare di popoli disperati e ridotti alla fame che assaltano le navi per prendersi «la loro parte».
Tutto questo sta dentro gli occhi di Muse e di Phillips che si guardano e si studiano, si rispettano persino, questo e molto altro c’è nelle sfumature di un film in cui non esistono i buoni e i cattivi, dove i ruoli si ribaltano di continuo, fino all’epilogo che lascia lo spettatore con lo stesso stato d’animo del capitano che crolla dopo aver vissuto la più terribile delle avventure. Non c’è da aspettarsi l’arrivo della “cavalleria” (o delle forze speciali in questo caso) per risolvere la questione, che non potrà trovare soluzione dalla liberazione dell’equipaggio del mercantile Alabama. Negli occhi di Muse, che Philips non dimenticherà, c’è soprattutto questo: il senso di una sfida impari che nonostante tutto non si può arrestare.
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