“Revenant”: una lotta epica per la rinascita

È un confronto tra uomini, messi davanti alla loro natura più profonda, immersi in un paesaggio ostile, indifferente. Revenant - Redivivo di Alejandro Gonzalez Iñárritu è basato sul romanzo omonimo di Michael Punke ispirato alla storia (vera) del cacciatore Hugh Glass che, ferito e in fin di vita, fu abbandonato - senza viveri e senza armi - dai compagni nel gelo del Nord Dakota durante una spedizione di caccia, nel 1823. «Ai confini del mondo», in quella Frontiera che si andava allungando verso Ovest. Un territorio popolato da cacciatori di pelli, avventurieri, indiani: uomini che combattevano per sopravvivere, «finché restava il respiro», fino all’ultimo briciolo di forza.

Tra Cuore di tenebra e Malick, primordiale, Revenant è un western antropologico. Che racconta la vendetta e gli estremi. Del carattere dell’uomo ma prima ancora della natura. Iñárritu tesse una trama che ha infiniti sottotesti e fa sentire allo spettatore il gelo della terra e il respiro dei cacciatori sull’obbiettivo. Gira in condizioni impossibili, tra ghiaccio e neve, in un territorio che toglie il fiato per la sua ruvida bellezza (fotografata dal premio Oscar Emmanuel Lubezki). Racconta di uomini «forti come alberi», capaci di sopravvivere alla tempesta, mossi da istinti ancestrali, in lotta con se stessi e con i compagni. E ovviamente con la natura che li vuole morti. Ma che è anche quella che regala loro la possibilità di sopravvivere.

Iñárritu non risparmia nulla allo spettatore, la neve si macchia di continuo di sangue, il regista mostra le ferite, le cicatrici profonde, porta attori e spettatori sullo stesso impervio territorio di confine, e li mette a confronto con l’estremo.

La scena chiave è il combattimento, lungo, durissimo, tra Glass e l’orso grizzly, che attacca per proteggere la sua tana e i piccoli. Una lotta che Iñárritu gira quasi identica in finale di film mettendo Di Caprio al posto dell’animale… Di Caprio appunto: l’attore ha ricevuto per questo film una meritata Nomination all’Oscar che non ha mai vinto nonostante le tante prove maiuscole regalate in carriera. Qui tra respiri affannati, dolore da mostrare e un dialogo ridotto ai minimi termini è alle prese con una parte che ne mette a nudo la straordinaria bravura, di quelle che tradizionalmente colpiscono i giurati dell’Academy. Gli stessi che dovranno certificare la crescita di Iñárritu, regista ormai arrivato nel gruppo ristretto dei “grandi”, anche lui nuovamente candidato dopo la vittoria dell’anno passato con Birdman. Anche se l’azione si è spostata verso altre latitudini, a distanza siderale dai suoi film precedenti, non è difficile trovare punti di contato tra quelle opere e questa, tra Babel, 21 grammi e Revenant: fili rossi che li legano in modo sottile ma indissolubile.

Il fiume Missouri, le tribù dei nativi, un lavoro importante sul corpo e una lavorazione che ha segnato gli attori e la troupe e che arriva sullo schermo attraverso una luce gelida e un montaggio che toglie il fiato: Revenant è un film su un cammino di redenzione che, partendo dalla sete di vendetta, approda a qualcosa di più profondo. Glass, mosso da una determinazione senza limiti e dall’amore e dal ricordo della sua famiglia, sopravvive, anzi rinasce letteralmente. Dal ventre di un cavallo e dalla terra stessa, proprio come quegli alberi altissimi che non possono essere abbattuti dalla furia della tempesta.

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