Quei sogni da Oscar, nella città delle stelle

Esiste un mondo fatto di musica, storie d’amore, drammi, illusioni e sogni. Esiste il cinema, che di questa materia è fatto, e ci sono i film: capaci di creare universi paralleli, vicini o irraggiungibili, che durano lo spazio di un paio d’ore soltanto o che restano impressi per sempre nella memoria comune. E poi c’è La La Land, il film di Damien Chazelle che arriva in sala in Italia subito dopo aver raccolto 14 nomination all’Oscar 2017: un musical che ha il potere magico di far brillare gli occhi, un grande atto d’amore verso il cinema e l’età d’oro di Hollywood, diretto (in maniera magistrale) da un regista che ha appena compiuto 32 anni ma che già con Whiplash aveva dimostrato di avere un “ritmo” assolutamente personale e il talento dei predestinati.

È una grande storia d’amore La La Land, un musical classico che prende a prestito tutti i codici del genere per renderli attuali. Chazelle fa danzare i suoi protagonisti, Ryan Goslin ed Emma Stone, su una partitura per pianoforte che percorre tutta la durata dell’opera, li fa volare e camminare sulle nuvole, li porta in cima all’Osservatorio Griffith che domina Los Angeles per rendere omaggio a Gioventù bruciata e a un cinema «che non c’è più» e che invece è vivo e vegeto, anche se le sale come il Rialto chiudono e i club del jazz ormai vendono patatine e suonano una brutta musica.

Il film sta già tutto dentro la bellissima (e difficilissima) scena d’apertura: le canzoni, i sogni e le opportunità di Los Angeles, musica, colori e una coreografia che coinvolge decine di attori e ballerini, una lunga “highway” che balla tutta intera come se fosse un corpo unico.

Inizia qui la prima delle cinque stagioni di Mia (aspirante attrice) e Sebastian (pianista jazz) nella città degli angeli. Quella che coltiva le illusioni e le distrugge, ma che oggi - più consapevolmente - può restituire a ognuno il proprio destino, che non sarà per forza fortunato (senza eccedere però nel disincanto). Inverno, primavera, estate, autunno. E poi ancora inverno. Le stagioni di Mia e Sebastian si inseguono camminando leggere sulle note, seguendo il tema di City of Stars che accompagna la storia dei due protagonisti; lui con il sogno di aprire un proprio jazz club, lei con il lavoro da cameriera al caffè degli Studios, i provini tentati a ripetizione e un testo teatrale nel cassetto. Già in questo un omaggio dichiarato a Hollywood e alla sua grande stagione, celebrata attraverso il genere più complesso e spettacolare, il musical, che resta banco di prova per grandi registi e sognatori.

Ricco di citazioni e percorso sempre da una nota di struggente malinconia, La La Land è un canto d’amore e di resistenza, per il set, per il grande schermo e per il jazz, da proteggere e salvare (come il cinema) dall’estinzione. Un tributo che diventa esplicito per come cita inquadrature, luoghi, costumi e coreografie, fatto di tanti omaggi che si riconoscono lungo la storia: un campionario che fa sobbalzare i cinefili, una galleria più o meno nascosta che va da West Side story a Ballando sotto la pioggia, passando per Shall we dance, Broadway melody e Un americano a Parigi (ma anche Grease e Moulin Rouge).

Il regista cita, commuove e diverte. E poi fa la cosa più difficile di tutte: rende facili le cose più complicate. Come trascinare lo spettatore per stupirlo a ogni inquadratura raccontando - con la musica e le immagini - la storia all’apparenza più semplice di tutte. Una storia di sogni infranti e di illusioni perdute, eterna e sempre giovane. Proprio come il cinema.

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