“Quei bravi ragazzi” di Wall Street

aJ2H5tp-dTQMartin Scorsese e “quei bravi ragazzi” di Wall Street, non meno avidi e violenti degli originali, altrettanto truffatori e criminali, se possibile ancora più amorali e spregiudicati. I “bravi ragazzi” che hanno sostituito le pistole con le camice di Brooks Brothers ma continuano a fare affari sulla pelle del prossimo, solo che sono usciti dal ghetto per approdare nel cuore della finanza, direttamente nella piazza più ricca.

Ascesa e caduta del “lupo” Jordan Belfort, The wolf of Wall Street è la biografia (romanzata perché tratta dal libro che l’ex broker d’assalto ha pubblicato) dell’uomo che è stato capace – nell’arco di dieci anni, a cavallo dei Novanta – di costruire e far crollare un impero finanziario edificato sul nulla. Belfort aveva sviluppato una “tecnica” infallibile per arricchirsi, vendendo titoli “spazzatura” che faceva prima gonfiare e poi crollare, mandando in rovina il prossimo e arricchendo se stesso. «Noi prendiamo dalle tasche degli altri e mettiamo nelle nostre» è la lezione senza scrupoli impartita all’inizio a Belfort e poi replicata da questo fino alla resa dei conti con la giustizia (arrivata tardiva e “leggera”, ma arrivata).

Martin Scorsese racconta la sua parabola perennemente sopra le righe fatta di soldi, droga e donne con un film che è eccessivo e volutamente sregolato, al pari del suo protagonista; la sua è una regia in perenne stato di alterazione, al servizio di una storia che vuol essere disturbante e che non vuol lasciare indifferenti. «Racconto di un tizio di cui vi fidate e che vi deruba» si è difeso il regista italoamericano, descrivendo la sua come una parabola sull’avidità e sulla rapacità della grande finanza, quando su di lui sono cadute in patria le prime critiche. Negli Stati Uniti l’uscita del film è stata infatti accompagnata da grandi polemiche per la mancanza di rispetto verso le vittime delle truffe e per la descrizione edulcorata che il regista avrebbe dato di Belfort. In realtà Scorsese non assolve il suo protagonista, assolutamente non fa nulla per cadere in questo equivoco: certo ce lo mostra vincente mentre si arricchisce ma il suo è uno sguardo che non perdona, che non può essere frainteso in questo senso.

The wolf of Wall Street è un romanzo criminale in cui il criminale è tale dall’inizio alla fine e non appare mai simpatico, mai trionfatore nonostante i milioni a palate, le donne, le regge comprate al posto case e le barche. Per rendersene conto basterebbero i dieci minuti finali, folgoranti e amarissimi, in cui Scorsese tira le fila del suo racconto, senza moralismo ma con uno sguardo lucido e sconfortato. Belfort ha la faccia troppo affascinante di Leonardo Di Caprio, certo, ma questa non può essere considerata una colpa… Anzi l’attore si produce in questo film in un salto mortale triplo, accettando la parte scomoda di un truffatore che rende con straordinaria bravura.

Viceversa quello del regista è un film sull’America, un atto d’accusa senza sconti alla sua sete di denaro, a un sistema che cresce figure come quella del “lupo di Wall Street”, milionario in dollari a soli 26 anni, capace in dieci anni di spericolata carriera finanziaria di accumulare una fortuna spropositata, fatturando con la sua società sotto il cielo di Wall Street 50 milioni all’anno. La rabbia che si prova è forse nel vedersi specchiati in questa storia terribilmente vera, per quanto carica di eccessi, proprio mentre nella realtà i mercati finanziari sono tornati a correre, dopo un altro catastrofico crollo, e con molti dei personaggi invischiati nei fatti già tornati in libertà.

Nessuna assoluzione, anzi, e quando alla fine arriva la polizia per regolare i conti, perché «tutti i nodi vengono al pettine» come sapeva persino il padre di Belfort, lo stupore e la rabbia del “lupo” è nei confronti dell’America che si rivolta verso i suoi figli che l’hanno fatta più forte e più potente. Sono i genitori contro i figli, le mogli contro i mariti, gli amici che sono costretti a tradire… È la tragedia che si compie e sono le regole che irrompono in un mondo che ha vissuto senza regole. Meglio, senza altra regola che non fosse quella dettata dall’avidità e dal denaro.

PRIMA VISIONE Martin Scorsese e “quei bravi ragazzi” di Wall Street, non meno avidi e violenti degli originali, altrettanto truffatori e criminali, se possibile ancora più amorali e spregiudicati...

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