Quando nell’Adda si cercava l’oro

Adesso non si direbbe. E l’Adda, lento e maestoso, sembra un fiume buono solo per pescare o per vogare con la canoa, eppure, un tempo, lontano ma non troppo, il nostro fiume era ricco di oro, tanto da attirare cercatori da tutto il Nord, smaniosi di fortuna. Ad aver raccolto documenti sul passato aureo del fiume che tocca Lodi è il geologo e appassionato del tema, Giuseppe Pipino, curatore e fondatore del Museo storico dell’oro italiano di Ovada, in provincia di Alessandria. È proprio lui che, dopo aver messo certosinamente insieme i documenti, i fogli di archivio e i reperti storici, ha tracciato la storia delle ricerche di oro fluviale in tutta Italia. «La raccolta di oro dall’Adda- spiega il geologo- è attestata ancora in diversi documenti, dal Medio Evo alla fine del Settecento e il fiume figura tra i corsi d’acqua nei quali veniva regolamentata la raccolta dell’oro fin da tempi molto lontani. Si parla del periodo intorno all’anno 1000».

Il documento più antico che fa capo al nostro territorio è «una presunta donazione risalente al 1002, quando il re Arduino, per intercessione della moglie Berta, dona all’episcopato di Lodi ilreddito dell’oro estratto dalle rive dell’Adda da Cavenago a Galgagnano».Un altro documento, più solido, è invece di due secoli successivo: «Il 19 dicembre 1310- spiega ancora Pipino- nel fare consegna dei beni e diritti posseduti in nome dell’impero, il vescovo di Lodi riconosce di avere, tra l’altro, il reddito dell’oro nelle corti di Galgagnano e Cavenago; per la zona più a valle, abbiamo un documento attestante che nel 1206 il vescovo di Cremona confermava alla chiesa di S. Bassiano il possesso di terreni di qua e di la dell’Adda, nei territori di Pizzighettone e di Maleo, riservandosi però il diritto di raccolta dell’oro dalle ghiaie. in un altro caso, più recente, nell’Ottocento il vescovo percepiva ancora 500 lire dal Comune di Rivolta d’Adda per l’affitto del diritto di pesca dell’oro».

Una ricerca, quella di Pipino, fatta di episodi documentati su tutto l’area del territorio dove il metallo prezioso si reperiva, con il passare dei secoli, con sempre maggiore difficoltà e in quantitativi sempre più parchi.

«Nel 1861, per esempio- continua lo studioso- i proprietari del latifondo di Corte Palasio fecero raccogliere oro dalle rive dell’Adda per esporlo all’Esposizione di Firenze, ma le spese superarono di un terzo il valore del metallo estratto. La presenza di pagliuzze e polvere d’oro nativo era nota in tutti i comuni rivieraschi, da Rivolta alla foce nel Po, assieme a magnetite; la raccolta, fatta con mezzi grossolani, consentiva a due uomini di recuperare al massimo un grammo e mezzo di metallo, con titolo variabile da 880 a 890 millesimi e pagato 4 lire al grammo: nel tratto fra Boffalora e Credera se ne raccoglieva per 2000-3000 lire l’anno. Ai primi del Novecento molti abitanti di Castelnuovo Bocca d’Adda esercitavano il mestiere di cercatori d’oro e, a causa della diminuzione del prodotto, molti di essi si trasferirono sul Ticino».

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