Quando il blues è amicizia:

“jam session” protagoniste

del festival in note di Lodi

Pur conteggiando due serate di ottima musica, il bilancio della quinta edizione del Lodi Blues Festival va letto con molta attenzione perché rivela un grado di maturità, a partire dall’organizzazione per arrivare al pubblico, da aprirsi a prospettive inedite ed esclusive. Messi nelle migliori condizioni possibili, tutti i musicisti (inglesi, americani e italiani) non solo hanno dato prova di grande competenza, esperienza, passione e professionalità, ma si sono prestati con generosità a condividere il palco del teatro ale Vigne in un susseguirsi di cortesie e in un clima di collaborazione e di stima reciproca che è stato un po’ il tema dominante del Lodi Blues Festival. Si era capito fin dalla serata di venerdì (si veda il pezzo sotto per la cronaca detagliata) quando gli inglesi Nine Below Zero si sono presentati con Fabio Treves all’armonica e, un blues dopo l’altro (compresa una torrida versione di Hey Joe in omaggio a Jimi Hendrix), hanno richiamato dalle quinte prima Jimmy Ragazzon e poi Maurizio “Gnola” Glielmo alla chitarra, a cui si sono aggiunti Carmelo Genovese e persino un terzo armonicista. Il concerto dei Nine Below Zero si è così trasformato in una sarabanda di blues e di chitarre, visti i frequenti duetti di Dennise Greaves con Maurizio “Gnola” Glielmo. Il grado di collaborazione tra i musicisti ha raggiuno l’apice della serata conclusiva del Lodi Blues Festival quando il gruppo di Paolo Bonfanti (con Roberto Bongianino alla fisarmonica, Stefano Risso al contrabbasso e Alessandro Pelle alla batteria) ha prima introdotto e poi coadiuvato l’esibizione di Roy Rogers. Tra il “maestro” americano, dotato di una tecnica chitarristica sublime, e gli “allievi” italiani si è sviluppata una complicità fatta tanto di istinto quanto di esperienza che ha regalato al pubblico del Lodi Blues Festival alcuni momenti di grande intensità. Tra questi va ricordato, nel cuore dello show di Roy Rogers, lo spazio dedicato a Robert Johnson. A un secolo dalla nascita (l’anniversario ricorre proprio quest’anno), l’alone di mistero che circonda la sua leggenda è pari soltanto alla straordinaria natura delle sue canzoni e Roy Rogers gli ha reso omaggio interpretando prima Stones In My Passway in versione acustica e poi, con il gruppo di Paolo Bonfanti al completo, Terraplane Blues. Quest’ultima in realtà, oltre a essere un tributo a Robert Johnson, è stata per Roy Rogers l’occasione per ricordare anche la sua lunga e proficua collaborazione con un altro grande bluesman, John Lee Hooker, visto che è un brano che avevano riscoperto insieme. Gli applausi a scena aperta (ed era già successo venerdì) nel gran finale sono stati anche il riconoscimento all’alto livello di qualità raggiunto dai musicisti italiani in grado di dialogare sia con i Nine Below Zero sia con Roy Rogers a viso aperto, senza esitazioni e, anzi, con notevole e reciproca soddisfazione. Un discorso a parte lo merita Daniele Tenca: alla guida di una solida rock’n’roll band (Pablo Leoni alla batteria, Luca Tonani al basso nonché Heggy Vezzano e Leo Ghiringhelli alle chitarre) ha raccontato le storie molto blues di chi non ha un lavoro o lotta per averlo. Senza retorica e con una carica notevole, è stato un altro piccolo, grande scoop del Lodi Blues Festival.

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