Piotta, “cafone” pentito alla Festa dell’Unità

Da “supercafone” ad artista impegnato in undici anni, due libri e sette dischi. Tanto ha impiegato Tommaso Zanello, meglio noto come Piotta, per smettere i panni trucidi del rapper da borgata e indossare quelli con cui lo scorso venerdì sera è salito sul palco della Festa dell’unità di Lodi, accompagnato da Claudio Cicchetti alla batteria, Davide Palmisano al basso, Marco La Fratta alla chitarra e Mauro Iacovella ai suoni. A dirlo è stato lui stesso, con l’autoironia che ha sempre contraddistinto i suoi testi fin dai tempi di Supercafone, arcinota apologia in rap dell’italiano coatto: «Nun me fai er giaguaro, nun me fai er cafone, non sei più er ghepardo der 99» recita il singolo Piotta è morto, tratto dall’ultimo album uscito nel 2012, il settimo della sua carriera, intitolato con citazione gramsciana Odio gli indifferenti. Addio «cubiste in tanga» e «giacca della Standa»: oggi le rime del Piotta parlano «dei valori che stanno dietro la nostra Costituzione» (L’antagonista), di chi «va al Family day e c’ha più scheletri che armadi» (Metto in discussione), di ladrocini di Stato, razzismo, diritti, «e intanto la camorra sta all’Expò lassù a Milano» (Io non rido). Una svolta civile che ha spiazzato il pubblico lodigiano, accorso al Capanno con l’idea di farsi «quattro risate con quel coatto d’er Piotta», diceva per esempio un ragazzo intercettato al bancone, sorpreso dall’hip hop engagé con cui il rapper romano ha cominciato da qualche anno a scagliarsi contro i mali della politica e della società dei consumi. Dal punto di vista strettamente musicale, il suo stile è una miscela di rock, punk e reggae in salsa rap, nulla di nuovo dunque, ma eseguito con gusto e buon tiro. Pochi fronzoli anche nel rapporto con il pubblico: «Oh, ma ci siete?» è stata la prima frase rivolta agli spettatori, seguita da un invito «categorico» ad avvicinarsi al palco per «cantare, ballare, sudare e pensare tutti insieme. Perché questo è il nostro concerto, non il mio». Così è stato: da lì in avanti Piotta ha potuto fare affidamento su oltre un centinaio di fedelissimi rimasti per tutto il concerto a portata di stage diving (il “tuffo nel pubblico” sperimentato con successo nel corso della serata), più altre duecento persone sparpagliate all’interno dello Spazio giovani, comunque pronti ad applaudire a distanza. In scaletta, accanto ai brani della discografia ufficiale, sempre preceduti da un’introduzione per chiarirne fuor di rima intenti e contenuti, anche numerosi remake, cioè pezzi di altri autori (Africa Unite, Manu Chao, Rage against the machine) dotati però di un nuovo testo, a ulteriore conferma di come a Piotta, più che la musica, stia a cuore il messaggio da veicolare. «Tu canti non-senso, io canto dissenso» recita una delle sue canzoni, nata come le altre dall’indignazione di un artista che poco ha in comune con la nuova scuola di rapper italiani (vedi Emis Killa, Club Dogo e compagnia bella), ma che è stato capace, dopo un esordio non proprio di classe, di costruirsi un’immagine diversa, matura e credibile.

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