“Pietà” di Castelnuovo, un capolavoro

restituito al suo antico splendore

Replica o copia? Non è ancora certa la natura del dipinto ospitato da tempo immemorabile nella cappella del Crocifisso, nella parrocchiale di Castelnuovo Bocca d’Adda intitolata a Santa Maria Nascente: una Pietà ascrivibile alla fine del XVI secolo, attualmente al centro di un intervento di restauro reso possibile dal contributo erogato dalla Regione Lombardia, e assegnato dalla Provincia di Lodi all’associazione VivAmbiente.

Si deve alla sua presidente Carla Ardigò l’iniziativa che similmente a quanto già avvenuto in passato per altre ricchezze artistiche della chiesa, uno scrigno di opere pregevoli grazie al mecenatismo dei nobili Stanga che lungo una parete del tempio fecero erigere la cappella ottagonale di famiglia, ha salvato dal degrado un patrimonio progressivamente restituito con passione alla comunità e al territorio. Che la Pietà ora affidata alle cure del restauratore Davide Parazzi sia una replica, cioè la riproduzione da parte dello stesso autore di un’opera precedente, oppure una copia e dunque eseguita da un pittore diverso, di certo si sa che il dipinto originale, databile intorno alla fine degli anni Venti del Cinquecento e attribuito a Bernardino Gatti noto come il Soiaro, si trova al Louvre dal 1797. Antichi documenti lo ricordano nella chiesa cremonese di San Domenico e nei decenni successivi alla sua realizzazione dovette essere molto copiato, se è noto che il cardinale inquisitore Desiderio Scaglia, raffinato collezionista d’arte, nel XVII secolo si era fatto inviare a Roma una copia del quadro, e attualmente due sono le raffigurazioni pressoché identiche visibili nel raggio di pochi chilometri, poichè un quadro uguale a quello castelnovese è custodito nella chiesa di Sant’Agata a Cremona. Nell’impresa decorativa del duomo della stessa città Bernardino Gatti, proveniente da Pavia dove era nato intorno al 1495, affiancò a più riprese il Pordenone dal quale derivò il linguaggio, fortemente influenzato anche dalla pittura del Correggio; i due si ritrovarono a dipingere insieme a Piacenza, nella chiesa di Santa Maria di Campagna. Il Soiaro avrebbe lavorato in seguito in altre chiese di Cremona e Pavia, alla Steccata di Parma e a Vigevano, mantenendosi fedele a un lessico collaudato e sicuro, capace di fondere i suggerimenti centroitaliani con la sua originaria cultura lombarda: lo stesso idioma espressivo che si legge nella tela di Castelnuovo, di alta qualità tanto che non si esclude possa rivelarsi una copia eseguita dalla stessa bottega del Gatti. Protagoniste della scena sono le figure del Cristo deposto dalla croce e disteso sul drappo azzurro, e della madre dolente; lo scenario è definito unicamente dalla grande colonna alla quale si appoggia il corpo del figlio tracciante una diagonale che sorregge la composizione assorbendone la luce, e dal tendaggio indistinto alle spalle della Madonna. Dal laboratorio di restauro di Parazzi a Maleo vengono le notizie sugli attributi distintivi e la datazione dell’opera, dipinta su una tela in fibra di lino larga un metro e alta un metro e venti, ottenuta da un’unica pezzatura a tessitura compatta: così erano prodotte le tele nel tardo Cinquecento a Cremona, dove è documentata la presenza di telai di ampie dimensioni che consentivano, a differenza di quanto avveniva in altre località, di evitare la giustapposizione di pezzature più piccole. La stessa collocazione temporale del dipinto è suggerita dai resinati grassi usati per l’apparato coloristico e dai fori lasciati dai chiodi a capocchia larga e rotonda, tipicamente cinquecenteschi e già in disuso nel secolo successivo, che fissavano il tessuto all’intelaiatura. È certo in ogni caso che si tratta di un’opera di pregio, che dal finanziamento riceverà la possibilità di essere studiata e valorizzata.

Marina Arensi

© RIPRODUZIONE RISERVATA