Parole e ricordi di Enzo Jannacci, il milanese “doc” che amava Lodi

I GRANDI CONCERTI: Il Dottore fu protagonista in più occasioni di spettacoli nel nostro territorio

Quanto ci manca Enzo Jannacci. Quanto ci mancano la sua ironia dissacrante, la sua genialità, i suoi nonsense pieni di buon senso, la sua leggerezza. Lo scorso 3 giugno avrebbe compiuto 85 anni, il dottor Jannacci, perché dottore lo era davvero, medico prestato alla canzone e al cabaret, artista nell’anima senza mai vivere da artista. Nella storia della canzone italiana Jannacci rientra a pieno titolo nel gruppo degli atipici.

Si è ritagliato un ruolo tutto suo: saltimbanco, intellettuale, poeta, teatrante, eccellente musicista. Le sue canzoni contengono poesia, cronaca, attualità: storie raccontate quasi sempre dalla parte degli ultimi, dei barboni in scarpe da tennis, degli esclusi, come il suo Giovanni telegrafista che tagliava «fiori, preposizioni, per essere più breve nella necessità», o la sua Vincenzina davanti alla fabbrica, o lo sguercio che «faceva il palo perché l’era el sò mestee». Quello che andava a Rogoredo a cercare «i suoi danée» ci avrebbe messo mezz’ora per arrivare alla stazione di Lodi. E il dottore Jannacci, da milanese doc, seppure parte della famiglia arrivava dalla Puglia, frequentò spesso il nostro territorio. Questioni logistiche, linguistiche (il dialetto milanese non si discosta poi molto dal lodigiano), ma soprattutto d’identità culturale.

«La vostra è una terra bellissima e trovo che Lodi sia una provincia molto importante. Da voi la gente è molto più ricettiva e sensibile che nelle città. Sono un milanese “doc”, ma con i tempi che corrono avrei preferito essere nato in Australia», disse nel luglio 2003, in occasione della sua esibizione sul palco di Villa Biancardi a Zorlesco. Nello stesso anno, a maggio, il cantautore fu ospite del Festival lodigiano dedicato ai sette vizi capitali, nella circostanza per parlare di ira sotto il palatenda allestito in piazza della Vittoria. Il «maestro esimio», come lo definì una volta l’amico Paolo Rossi durante uno strepitoso duetto sulle note di “Ho visto un re”, suonò anche al Teatro alle Vigne nel 1999, presentando lo spettacolo “È stato tutto inutile” accanto al figlio Paolo, talentuoso polistrumentista che negli ultimi tempi ha collaborato gomito a gomito con il celebre padre. E poi ci furono i concerti al Nebbiolo di Tavazzano, a Borghetto:appuntamenti di cui molti lodigiani conservano memoria viva.

Padre e figlio si ripresentarono a Lodi nel 2007 quando l’autore di “Vengo anch’io, no tu no” si esibì sulla ribalta dell’auditorium Bipielle: «Mio figlio è un talento. È come Bertoldo, sa fare tutto». Lo constatarono poi di persona i tanti spettatori che assistettero a quel concerto memorabile, aperto da un monologo surreale e “incomprensibile”, e poi proseguito con le pietre miliari di una produzione sterminata, grazie anche al contributo fondamentale di fuoriclasse dell’ironia come Dario Fo e Beppe Viola.

Mi si conceda un aneddoto personale: prima di quel concerto ebbi l’onore di intervistare Jannacci via telefono. Alla fine di una chiacchierata bellissima e per certi versi surreale, chissà perché, non resistetti alla tentazione di dirgli che condividevamo la data di nascita, il 3 giugno. Il dottore rimase qualche attimo in silenzio e poi sentenziò: «Ah, complimenti!».

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