Ozpetek in bilico tra “vuoti d’aria”

«A mano a mano, mi perdi e ti perdo»… La voce di Rino Gaetano presa a prestito e un titolo per avvertire lo spettatore: servono nervi saldi, forse un po’ di fortuna, e le cinture di sicurezza ben allacciate per superare le turbolenze del cuore e della vita. Ferzan Ozpetek torna a Sud, a Lecce, per raccontare la storia di Elena e Antonio (Kasia Smutniak e Francesco Arca), opposti che si attraggono, innamorati a tratti tragici che seguiamo per un arco di tempo lungo tredici anni. Una “giusta distanza” per vedere i cambiamenti, sentire il tempo che passa, vedere “sfiorire le viole” per restare dalle parti del meraviglioso Rino Gaetano. Quando si incontrano, nel 2000, non potrebbero essere più diversi uno dall’altra, e infatti subiscono un’attrazione inaspettata e irresistibile. Lei che lavora in un pub ed è gentile, colta e solare, lui con la tuta da meccanico indosso e i discorsi razzisti e omofobi alla fermata dell’autobus. In più, fatto non secondario, fidanzato con la migliore amica di lei.

Infatti tredici anni dopo li ritroviamo sposati e con due figli, in una famiglia in cui è Elena a trascinare lui che, tutto sommato, è rimasto quello che era: grezzo, chiuso, irascibile. Fino a quando non arriva un nuovo “vuoto d’aria”, un nuovo scossone: lei scopre di essere ammalata di cancro e tocca trovare ancora una volta un punto di equilibrio, per restare in piedi e non cadere.

Sceneggiato dallo stesso Ozpetek in coppia con Gianni Romoli Allacciate le cinture dovrebbe essere, nelle intenzioni dichiarate, un film sulla potenza dell’amore, che supera il tempo e, appunto, le sue traversie. Un film corale, com’è nelle corde del regista de Le fate ignoranti, un’opera che mischia i generi, passando dalla commedia al melodramma, in cui si riconoscono i temi e persino i colori dell’autore turco, ormai italiano a tutti gli effetti. La sua poetica insomma, lasciata un po’ da parte nel più recente Magnifica presenza, che qui viene cercata in maniera anche evidente per ritrovare i punti fermi.

A Ferzan Ozpetek interessa indagare sull’amore e sulle dinamiche della coppia, sulla famiglia, sugli eventi che si sviluppano nelle case, attorno a una tavola apparecchiata per cena, per rivelare a se stesso e al pubblico la potenza del sentimento e della passione che riesce a superare qualsiasi barriera di tempo e spazio. Questo gli è riuscito in passato ma non gli riesce in questo film che comunque ha un andamento discontinuo e contiene tanti “film” diversi. La sensazione, con il passare delle scene e degli avvenimenti, è che molto resti nella penna e nelle intenzioni, senza essere tradotto in emozioni e in verità sullo schermo. E che questa manchi proprio quando è la realtà a fare irruzione nelle storie dei personaggi.

Il regista conserva un occhio affettuoso sui personaggi, raccontati con affetto, in particolare quelli che dovrebbero essere secondari e secondari non sono. Strano però che Ozpetek manchi proprio in una delle cose che meglio sa fare: la direzione degli attori. Difficile comprendere ad esempio la scelta di Francesco Arca per il ruolo del protagonista, una parte difficile che avrebbe richiesto ben altra interpretazione e maggiore “struttura“ che il regista non è riuscito ad aggiungere nel lavoro sul set.

Il ritorno al Sud, a Lecce, città verso cui il regista dichiara amore, va invece considerato come un elemento di continuità, anche se questa volta il luogo non diventa mai un vero personaggio aggiunto e si limita a fare da sfondo. Infine è grande ancora una volta la cura nella colonna sonora che è impreziosita dal brano di Rino Gaetano che chiude pure il cerchio sul film, quando con un movimento circolare la storia fa un passo a ritroso e si tinge di una profonda nostalgia.

PRIMA VISIONE «A mano a mano, mi perdi e ti perdo»… Rino Gaetano preso a prestito e un titolo per avvertire lo spettatore: servono nervi saldi, forse un po’ di fortuna, e le cinture di sicurezza ben allacciate per superare le turbolenze del cuore e della vita. Ferzan Ozpetek racconta la storia di Elena e Antonio...

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