Leo Nucci: «Lascio il palco, spazio ai giovani»

Il grande baritono protagonista ieri mattina all’Università delle tre età di Lodi

A giugno lascerà i palcoscenici delle stagioni della lirica («credetemi, sono il più fresco di tutti, ma diamo spazio ai giovani»), continuerà però ad esibirsi in pubblico («farò concerti con il maestro Paolo Marcarini, non voglio smettere»). Nel frattempo la sua agenda non gli darà tregua («in questi giorni sono alla Scala col Nabucco, poi martedì sarò a Budapest») ed è certo che affronterà il secondo tempo della sua splendida carriera con l’entusiasmo di sempre («se non mi guardo allo specchio mi sento un ragazzo di trent’anni»).

È sul più famoso Rigoletto della storia della lirica, il baritono Leo Nucci, lodigiano d’adozione, interprete verdiano tra i più grandi, che ieri mattina si è alzato il sipario del Teatrino di via Gorini, sede delle lezioni mattutine dell’Unitre. Invitato a parlare di sé, del suo mondo, dei suoi inizi e di una passione diventata professione ad altissimi livelli e non ancora consumata dopo cinquant’anni di attività (il debutto avvenne il 10 settembre 1967 a Spoleto con Rossini e il Barbiere di Siviglia), Nucci, a cui l’Unitre ha consegnato la tessera di socio onorario, si è rivolto al pubblico con parole di elogio per la loro scelta di continuare a studiare. «Io due anni fa mi sono iscritto alla Gaffurio per imparare a suonare il violoncello, lo strumento baritono degli archi, uno strumento difficilissimo che mi ha sempre affascinato. Sono insieme a dei ragazzini di dieci anni, ma guai se mi chiamano maestro. Non diventerò Rostropovich, ma nella vita è indispensabile avere sempre degli obiettivi. Lo studio è l’unico modo per capire la vita, perché non siamo al mondo per vegetare ma per pensare. I nostri acciacchi si possono affrontare anche con un libro. Io di recente ho ritirato fuori I fratelli Karamazov, e pensando a Dostoevskij dico che la bellezza è davvero la salvezza del mondo. Se ci limitiamo ad ascoltare le chiacchiere della televisione stiamo freschi. La cultura è la nostra vera libertà».

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