Non si salva nessuno dal morso di Boris

Brutta televisione, bruttissimo cinema, attori cani, produttori cialtroni, sceneggiatori furbi e improbabili, maestranze da barzelletta, direttori di rete da galera: non si salva nessuno dal morso di Boris, le fauci più temibili viste sul grande schermo dopo quelle dello squalo.

Dopo aver conquistato un piccolo esercito di fan raccolti in una specie di setta che con il tempo si è allargata a dismisura, Boris, serie di culto della televisione che ride di se stessa arriva al cinema per farlo a pezzi, dopo aver disintegrato miti e modelli, stereotipi, usi e costumi del piccolo schermo nostrano. La ricetta è nota ai fan della saga del pesciolino rosso, che da tre stagioni irride e sbeffeggia i codici della pessima televisione italiana, che viene replicata e parodiata dalla scalcagnata troupe guidata da Renè Ferretti impegnata nel serial ospedaliero Occhi del cuore (1 e 2). Tornano quindi con il regista Renè, il produttore “mostruoso” Lopez, Arianna l’assistente tuttofare, Biascica l’attrezzista, Duccio il direttore della fotografia “aperta”, Stanis il divo egocentrico della soap e compagnia “girante”.

Accade che persino Renè, regista che si vanta di aver girato le peggio cose per compiacere il pubblico della Rete, si rifiuti di fare una scena perché considerata brutta oltre ogni limite. È questo lo spunto, lo scatto per lasciare il set, abbandonare la televisione e fare il grande salto verso il buio, verso l’ignoto. Un ritiro spirituale per disintossicassi dalla tv, senza essere confortato dal cinema, dove nel frattempo passa l’ennesimo Natale (“al Polo Nord”) condito da pernacchie e brutture che in effetti sono già state superate da quelle girate nella realtà.

Non vi raccontiamo come evolverà l’avventura, per non togliere la sorpresa, basterà dire che Renè Ferretti arriverà dietro la macchina da presa del cinema, così come è capitato ora a Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, i “padri” di “Boris” a cui, questo invece si può dire, è riuscito in pieno il salto triplo dalla tv al cinema. Un passaggio compiuto tra gli applausi e le risate non semplice, che ad esempio non era riuscito ai tipi della Gialappa’s (ma a loro era venuto già il tentativo dalla radio al piccolo schermo). Arrivando dove forse solo il “maestro” Arbore era arrivato, pur con modalità completamente differenti.

Ecco, se una cosa da dire esiste, che può non far felice la fantasia degli autori, è che Boris si è inventato poco o nulla: ride di personaggi reali, verissimi, che si incontrano senza fatica su un set qualsiasi o in una conferenza stampa. Ride di noi, del pubblico che applaude a scena aperta i cinepanettoni o i comici tv dal tormentone ripetuto all’infinito. Sbeffeggia i critici e gli intellettualismi che a volte suonano più volgari di una gag scoreggiona. Mette alla berlina il “generone” cinematografico, senza distinzioni politiche o di bandiera. Colpisce indifferentemente Rai, Mediaset, il premio Oscar, il cinema d’autore. Diventa addirittura didattico in alcuni momenti imperdibili, come quando rivela i meccanismi nascosti della produzione o ad esempio fa recitare al regista Glauco la ricetta per la perfetta confezione di un cinepanettone (da mandare a memoria).

Detto tutto il bene possibile per il tentativo di questa tribù che tenta la fuga dalla sua riserva di intelligenza e di nicchia per gettarsi in pasto ai mostri del grande schermo (un istante prima di decretare la propria fine già annunciata), resta da vedere quale sarà la reazione del pubblico in sala. Se il fenomeno di culto saprà allargarsi e se gli spettatori chiudendo un occhio e facendo finta di non riconoscersi applaudiranno un film in cui sono i veri protagonisti in negativo. Loro, i tre terribili autori nascosti nella boccia di vetro del pesce rosso, ci lasciano con Renè in sala che si vergogna del successo del suo film: una chiusura tragicamente amara, ovviamente coperta dalle risate.

PRIMA VISIONE - Brutta televisione, bruttissimo cinema, attori cani, produttori cialtroni, sceneggiatori furbi e improbabili, maestranze da barzelletta, direttori di rete da galera...

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