Miserere, dolori vissuti oltre le sbarre

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Da Lodi a Sulmona fu una fedele servitrice dello Stato e una personadi grande valore, provata da

un ambiente difficile

Dietro le sbarre del dolore, alla ricerca delle regole della sofferenza. Per raccontare l’arco tragico di una donna sopravvissuta alla grammatica della vita in un ambiente ostico e maschile per eccellenza - quello del carcere - e poi crollata perché privata dei suoi amori. Per chi l’ha osservata come direttrice del carcere di via Cagnola, qui a Lodi, l’appuntamento al cinema con Come il vento, sarà come conoscerla di nuovo, ma dal punto di vista delle regole del cuore. Perché è proprio l’ex direttrice di ferro dell’istituto penitenziario, Armida Miserere, tra le prime donne in Italia ad assumere quest’incarico, morta suicida nel 2003 a Sulmona, la protagonista dell’ambiziosa pellicola firmata da Marco Simon Puccioni, che ha esordito nel 2002 con Quello che cerchi, nominato al David di Donatello come miglior opera prima. Laureata in criminologia, figlia di un militare e cresciuta dando valore alla disciplina, Armida Miserere cominciò la sua carriera a 28 anni nel carcere di Parma e per 20 anni, quelli delle stragi di mafia, del terrorismo e della P2, ricoprì l’incarico in diversi istituti, da Lodi a Voghera, fino a Pianosa (il super carcere dei “boss”) e all’Ucciardone di Palermo, per poi arrivare a Sulmona, dove ha messo fine alla sua vita, lasciando un biglietto durissimo rivolto a chi l’aveva privata di tutto. Sullo schermo, nei panni di Miserere ci sarà Valeria Golino, accompagnata da Filippo Timi, che sarà Umberto Mormile, educatore del carcere di Opera e suo compagno, drammaticamente ucciso l’11 aprile del 1990 da due sicari sulla Binasca, all’altezza dell’incrocio con la SS Valtidone, tra Carpiano e Locate Triulzi. Un fatto di sangue che sconvolse anche il Lodigiano e il Sudmilano e su cui pure il film ritorna, ricostruendo la scena dell’omicidio, con la partecipazione di due comparse di Melegnano, Marika Carpedoni e Roberto Pisati, militi della Croce Bianca che nelle riprese soccorrono Timi, colpito da diversi colpi di pistola alla guida della sua Alfa 33. A conclusione delle riprese, in cui ci saranno anche delle pagine dell’epoca de «Il Cittadino» per raccontare della morte di Mormile, che viveva a Montanaso con Armida Miserere, iabbiamo intervistato il regista Marco Simon Puccioni.

Cosa l’ha colpita della vicenda di Armida Miserere tanto da decidere di dedicarle un film?

«L’arco tragico della sua vita. Io ho letto per la prima volta di lei, quando si è tolta la vita con un colpo di pistola. I giornali hanno riportato la notizia, raccontato alcuni particolari della sua esistenza e ho iniziato un percorso di riflessione. Ho scoperto così una vicenda umana singolare, in cui la protagonista è una donna che si fa valere e rispettare in un ambiente ostico per tutti, a maggior ragione per una donna. Io ho una predilezione per i personaggi femminili perché nella nostra società devono fare il doppio della fatica degli uomini per affermarsi. E quando una donna riesce a crearsi uno spazio in un ambiente così difficile, in cui si confrontano lo Stato e il cittadino, il senso di giustizia e le pene da espiare, diventa un elemento di grande interesse».

Come ha scelto di raccontare Armida Miserere?

«La chiave di questo film è senza dubbio la vicenda umana, più che il carcere. Ho avuto accesso ai suoi diari e ho avuto modo di conoscere l’Armida più intima e personale. Ho cercato di raccontare chi era, il suo dolore per la morte di Umberto, lasciando invece un po’ sullo sfondo quello per la scomparsa dei genitori. Mi colpiva come, nonostante i tanti dolori alle sue spalle, avesse sempre cercato di rifarsi una vita, fino all’epilogo. Oltre a questo, c’è poi la direttrice di un carcere, la servitrice dello Stato, quella che cerca di far funzionare un luogo di incontro e di compromesso sempre con grande attenzione alle regole. Amava le regole e voleva che fossero rispettate».

Anche per questo era soprannominata “il colonnello” e molto spesso indossava la mimetica, soprattutto quando si confrontava con ambienti duri come il super carcere di Pianosa. Quali sono stati gli aspetti più difficili da raccontare?

«I più difficili sono naturalmente i più interessanti...in questo caso è la contraddittorietà tra i due volti di Miserere, ovvero la forza e il carisma da un lato, la fragilità e la sensibilità dall’altro. Un aspetto che conoscevano in pochi, che non mostrava di certo sul luogo di lavoro, ma che emerge chiarissimo dai suoi diari. Ed è questa dicotomia così forte a renderla così umana e vera».

Ha avuto modo di parlare con qualcuno che la conosceva qui nel Lodigiano?

«Il mio filtro primario per raccontarla è stata la voce del fratello, che mi ha anche dato accesso ai suoi diari, fonte da cui è iniziato il percorso di avvicinamento al personaggio e al successivo film. La prima stesura risale al 2004, legato ad un lavoro sulla Costituzione e sulla giustizia, ma i primi finanziamenti sono arrivati nel 2010 e quindi solo più tardi sono partite anche le riprese. In tutto questo periodo, però, sono riuscito a conoscere molti amici di Casacalenda, in Molise, luogo di nascita e suo rifugio, e diversi funzionari degli istituti in cui ha lavorato, oltre a moltissimi agenti, che mi hanno permesso di farmi un’idea. Sullo schermo non ci sarà la Miserere vera al 100 per cento, ma l’immagine che mi sono costruito di lei».

Quando inizia la narrazione del film? E dove sono state girate le scene che toccano il Lodigiano?

«Sei mesi prima della morte di Umberto, quando lei era direttrice del carcere di Lodi e lui educatore a Opera. Racconto della loro quotidianità a Montanaso Lombardo, dove vivevano anche i genitori di lei. Un luogo scelto perché comodo per entrambi, per conciliare vita e lavoro, e che diventa il loro universo di felicità normale, quotidiana. Poi c’è il racconto dell’omicidio e di quella che diventa la vita di Armida dopo quella tragedia. Le scene che riguardano Lodi e il Lodigiano sono state ricostruite in Toscana, che ci ha anche assicurato un importante contributo economico per il film».

Come è arrivato a scegliere Valeria Golino per la parte di Miserere?

«La scelta è legata alla lettura che volevo dare di Armida, che in alcune descrizioni arriva come dura, militare, ferma. Io vedevo in lei una parte più umana e fragile, più quotidiana e gioiosa, quella che Valeria Golino poteva darle. Pur essendo una donna carismatica e che si imponeva sul lavoro, non rinunciava al suo aspetto femminile. Amava i gioielli, il vestir bene e dava valore all’amore e agli affetti».

Rossella Mungiello

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