Meazza, primo campione moderno

che trasformò il mondo del calcio

«Lei va pazza per Meazza che fa reti a ritmo di fox-trot», diceva una canzonetta degli anni Trenta. Per l’epoca era un’assoluta novità celebrare in musica il nome di un calciatore. Chi giocava al «folber» non aveva la stessa popolarità di oggi, e a dominare la scena sportiva erano soprattutto i ciclisti. Giuseppe Meazza, probabilmente il più grande calciatore italiano di tutti i tempi insieme a Valentino Mazzola, fu il primo «pedatore» a riuscire nell’impresa di diventare un’icona anche fuori del campo. Grazie alle sue gesta fu infatti scelto come testimonial per decine di prodotti da reclamizzare, segnando invariabilmente la rotta per gli anni a venire. Del resto lui era un giocatore «modernissimo», come l’ha definito il melegnanese Marco Pedrazzini, autore insieme a Federico Jaselli Meazza, nipote del calciatore, del volume Il mio nome è Giuseppe Meazza (ExCogita edizioni), presentato martedì sera presso il Coffe Move in corso Mazzini a Lodi. Un’opera originale e ben curata, in cui l’asso dell’Inter racconta in prima persona la sua vita e la sua carriera, il tutto corredato da un ricco apparato iconografico. Per le nuove generazioni, il nome di Meazza evoca solo lo stadio di San Siro (proprio ieri, 2 marzo, cadeva il ventunesimo anniversario dell’intitolazione, voluta nel 1980 dall’allora sindaco di Milano Carlo Tognoli), eppure il “Peppino” per almeno un decennio è stato uno dei più forti calciatori al mondo, vincendo con la maglia azzurra due titoli iridati, nel 1934 e nel 1938, e segnando quasi 250 gol con la maglia dell’Inter, prima di chiudere la carriera vestendo anche i colori di Milan, Juventus, Varese e Atalanta. «Meazza non è molto conosciuto per una questione temporale (il calciatore nacque nel 1910 e morì nel 1979, ndr), e questo libro vuole essere un’occasione per riportare in auge un mito della storia italiana - ha spiegato Pedrazzini, giornalista e storico del calcio -. Fu un campione modernissimo: giocava con entrambi i piedi, ha cambiato diversi ruoli prima di diventare una spietata prima punta, era amatissimo dai tifosi. Fu il primo calciatore ad attirare l’attenzione dei media, ogni giorno riceveva almeno 20 lettere da parte delle ammiratrici». Un divo per le folle, ma una persona schiva e discreta tra le mura domestiche: «Era un papà piuttosto severo - il ricordo della figlia Silvana -, mi sorvegliava in ogni situazione. Ma era anche molto affettuoso, e soprattutto non ha mai fatto pesare il suo ruolo». Appese le scarpe al gioco, Meazza diventà un precursore anche nel ruolo di allenatore: fu il primo tecnico italiano a guidare una compagine straniera, i turchi del Besiktas. E fu anche uno scopritore di talenti: Facchetti e Mazzola, due pilastri della Grande Inter di Angelo Moratti, arrivarono grazie a una sua segnalazione. «Meazza ha vestito tante maglie - l’intervento di Stefano Corsi, scrittore lodigiano -, ma è giusto dire che è stato un giocatore dell’Inter. Nelle altre squadre ha giocato a fine carriera, e per questo rimane un’icona nerazzurra. Lo si capisce leggendo questo bel libro, scritto in modo sobrio e credibile nonostante l’operazione di far parlare il giocatore in prima persona».

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