Maurizio Losi, ciak internazionali dal Lodigiano

Le colline del Piacentino si trasformano nella campagna tedesca nel film Amo la tempesta, scritto e diretto dal regista di Santo Stefano Lodigiano Maurizio Losi. Già questo dà il senso del film: una storia che affronta il delicato tema della fuga dei cervelli e lo trasforma in un’analisi sulla società contemporanea, dalla crisi italiana al rapporto tra padri e figli. Il protagonista, Angelo, interpretato dall’attore teatrale e cinematografico Nando Paone, si trova infatti a confrontarsi con la partenza di un figlio, emigrato alla ricerca di lavoro. Inizia così la storia di un padre alla ricerca di un’occupazione per il figlio, di un modo per farlo tornare a casa. Una trama che si sviluppa in modo quasi surreale, quando il protagonista si aggrega a un gruppo di genitori nelle sue stesse condizioni e arriva a progettare il rapimento di un gruppo di ricercatori italiani in Germania; una commedia amara, comunque, che si rifà al filone della tradizione italiana per trattare di un argomento di estrema attualità. Ieri le ultime scene girate in Italia, nella campagna vicino a Rivergaro: la troupe di Exen Films, composta da una cinquantina di persone, ha realizzato le ultime scene prima di partire per il Trentino Alto Adige, quindi per Monaco di Baviera. «Concluderemo le riprese la prossima settimana, e finiremo la post-produzione entro giugno: l’idea è quella di presentare il film al Festival di Venezia - spiega il regista -. Le scene girate in questi due giorni nel Piacentino sono molto importanti: è il momento in cui il protagonista stringe amicizia con un gruppo di giovani ricercatori italiani in Germania». Losi ha quindi spiegato il senso di un film di questo tipo nell’attuale situazione italiana: «I giornali parlano molto di questo argomento, ma la questione è più complessa: in questi ultimi anni si assiste all’emigrazione dei giovani più preparati, delle eccellenze, una cosa mai vista prima. Noi abbiamo deciso di raccontarla, peraltro da un punto di vista diverso, quello del padre. Da qui, si parte per una riflessione sul modello della famiglia italiano, che spesso tende a diventare possessivo nei confronti dei figli. Un modello che entra in crisi nel mondo contemporaneo, dove non esistono più i confini». «Mi sono subito innamorato di questa sceneggiatura - commenta l’attore protagonista, Paone -. In parte perché il protagonista ha un carattere molto diverso dal mio: è introverso, quasi asociale, ma nel corso del film si riscatta. Nella sua amicizia con il gruppo di ricercatori trova un modo per esprimere un affetto paterno che non era riuscito a vivere con il figlio. D’altra parte, credo molto nel valore sociale di questo film: mi auguro che possa spingere le istituzioni a fare qualcosa per arginare l’emorragia di giovani che abbandonano un Paese in crisi».

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