“Manca solo la domenica”, applausi per il monologo al Teatro comunale

Umorismo macabro, condito in salsa siciliana, ha creato l’irresistibile coctail de Manca solo la domenica, monologo tutto al femminile interpretato da Licia Maglietta, applauditissima dal pubblico del Teatro comunale venerdì sera per l’ultimo spettacolo della stagione di prosa. Sul palco anche Vladimir Denissenkov al bayan, tipica fisarmonica russa. Bravissima l’attrice, vestita di nero, ma con un fascino conturbante, nella sua dimensione grottesca. I suoi intercalari siciliani sono funzionali (Andrea Camilleri, e non lui solo, docet), perché ci sono parole che tradotte in italiano, non renderebbero. E altrettanto bravo Vladimir Denissenkov, anche se in realtà il bayan del musicista è un altro personaggio in scena, che detta i ritmi, scandisce le cadenze, talvolta si fa complice della voce. Borina, all’anagrafe Liboria Serrafalco, zitella alta e secca, va in sposa a Cataldo Liuzzo, scapolone basso e grassottello. Il matrimonio senza amore dura poco, perché il marito sparisce in Australia, dove si rifà una vita, lasciando nei guai la moglie: la quale sperava nella vedovanza, per poter ricominciare una vita. E così, Borina si improvvisa vedova, sua invincibile ambizione: compra vestiti ed arredi in nero, e pesca un marito per ogni cimitero dei dintorni, fino ad averne uno al giorno, da lunedì a sabato. Il suo tran tran è collaudato, se non ché a rovinare la festa all’improvviso ecco che riappare il marito, invecchiato, calvo e diabetico. E torna come se i trent’anni non fossero mai passati: la stessa spocchia, la stessa silenziosa violenza. Ci penserà Borina, sostituendo lo zucchero alla saccarina, a spedire il coniuge all’altro mondo. Così la donna avrà una tomba da visitare anche la domenica... Non prima però di «sistemare» anche quell’altra vedova che le aveva conteso il loculo di uno dei mariti, il più giovane e bello. Uno spettacolo, questo monologo tratto da uno dei racconti di Pazza è la luna di Silvana Grosso, in crescendo, specie quando il pubblico si addentra nella vicenda, surreale ma non troppo. C’è qualcosa tanto dello Spoon River, quanto del De André, nelle storie dei vari personaggi. Umorismo cimiteriale, appunto: e il riso non è forse il miglior modo per esorcizzare la morte?

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