Malick e la sottile

“linea della vita”

Una lunga preghiera. Un inno. Alla vita e alla creazione. Un film complesso e spirituale, simbolico, che non ha bisogno di troppe parole per essere raccontato o “spiegato”. Ma che vuole soprattutto essere guardato. Questo è The tree of life, monumentale quinto film di Terrence Malick, un kolossal del regista filosofo che spiazza e conquista, e precipita lo spettatore in un universo metafisico, fatto di immagini che si compongono sullo schermo come una grande sinfonia. Un atto d’amore intenso e smisurato che sorprende e non può lasciare indifferenti.

C’è tutto questo, e molto di più ovviamente, nell’opera del regista de La sottile linea rossa che, attorno a una vicenda familiare ambientata nell’America profonda degli anni Cinquanta, costruisce un racconto biblico di padri e figli, madri e fratelli, che sembrano incarnare tutti i padri e i figli della terra. Tutte le amorevoli madri che hanno accarezzato la testa ai loro bambini, tutti gli uomini e tutte le donne che hanno esalato il loro respiro su questa terra. Attraverso i protagonisti, ma anche attraverso un lungo montaggio di immagini che funziona da prologo (e poi da epilogo) racconta il dolore che non si può descrivere, la vita che corre veloce e che a un certo punto si ferma mentre attorno tutto continua a scorrere. Racconta le domande e i dubbi che, sin dalle origini si pone, chi questa terra la popola.

È un film di rara potenza The tree of life, scomodo, a tratti ostile, che non si cura del ritmo o meglio, che se ne sceglie uno personalissimo, dilatato all’infinito. Un’opera di cinema “puro” che replica ai quesiti filosofici che pone con un’immagine, con una singola inquadratura: un battito d’ali, un filo di fumo che si muove spostato dall’aria. Emozione pura. C’è la fede e c’è il dubbio in quelle immagini, in quelle domande. In quel filo di fumo c’è anche molto cinema.

Malick, che non ha timore a relegare in secondo piano i suoi attori (anche se si tratta di star come Sean Penn e Brad Pitt) suggerisce che il senso delle cose va trovato tutte le volte che sorge il sole, in ogni istante di ogni singolo giorno. Il regista ha una capacità quasi unica di restituire potenza alle immagini ed è grazie a questa dote che supera anche il rischio di realizzare una “galleria” di sequenze straordinarie ma prive di vita, senza un’anima.

Non si fanno film per spiazzare lo spettatore, per farlo sentire “impreparato” e a disagio davanti a quanto scorre sullo schermo. Questa sensazione però può sorprendere di fronte a opere che sono innovative, anche quando all’apparenza sono “antichissime”. Malick è un autore così, che ha la rara capacità di stupire. Per le cose che dice e, soprattutto, per come le dice. Alla fine il suo è un film sulla capacità di guardare e sul miracolo della vita. Che ogni giorno ci passa davanti, in un soffio di vento, in un respiro troppo veloce. Semplicemente questo. Malick parla con un linguaggio cinematografico a cui oggi siamo disabituati, fatto di silenzi e spazi rarefatti, dilatati. Ma il suo cinema guarda nel profondo e costringe a cercare. E The tree of life è un’opera che, come il suo autore, ha il coraggio di spiare l’assoluto. Senza la paura di apparire banale, anche quando riflette con una voce fuori campo sul senso della vita e ripete domande universali, che sembrano senza risposta.

Le risposte invece arrivano attraverso sequenze che tolgono il fiato, inquadrature ardite e di rara bellezza, a cui non è necessario aggiungere parole. Anzi, la “sottile linea della vita” di Malick sembra riannodarsi proprio quando il regista (come Eastwood) si spinge a immaginare un ricongiungimento universale dopo la morte, in uno spazio bianco, con i protagonisti senza più età, riuniti in maniera quasi infantile, in un “sogno” che può apparire ingenuo e si rivela invece altissimo nel suo essere semplice. E se, giunti alla fine del nastro, fosse proprio in questa raggiunta “semplicità” la chiave di lettura per tutto quanto?

PRIMA VISIONE - Una lunga preghiera. Un inno. Alla vita e alla creazione. Un film complesso e spirituale, simbolico, che non ha bisogno di troppe parole...

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