L’uomo di neve, il terrore arriva dal Nord

Un cast hollywoodiano (Michael Fassbender, Rebecca Ferguson, Charlotte Gainsbourg e Val Kilmer) per il film della settimana

C’è il bianco, il gelo e il romanzo di Jo Nesbø. L’atmosfera rarefatta di un thriller alle estreme latitudini Nord e c’era, naturale, l’attesa per vedere sullo schermo il detective Harry Hole alle prese con uno dei suoi casi. Ma alla fine resta soprattutto il freddo nelle ossa e una tensione che svanisce come una nuvoletta di vapore soffiata nell’aria.

Leggere il nome di Martin Scorsese tra quelli dei produttori di L’uomo di neve era stato rassicurante alla vigilia, una volta usciti dalla proiezione invece la scelta del regista (che in un primo momento doveva stare dietro la macchina da presa e ha poi preferito passare la mano allo svedese Tomas Alfredson) sembra prendere tutto un altro significato. Peccato perché se la base era solida (il settimo romanzo dell’autore cult norvegese), il nome del regista de La talpa sembrava una garanzia assoluta. Invece…

Invece succede che i tasselli non vanno mai al proprio posto da soli - al cinema ancora più che altrove – e che il caso raramente arrivi in soccorso se non si sono fatte tutte i passi correttamente.

Ad esempio riunire un cast hollywoodiano (Michael Fassbender, Rebecca Ferguson, Charlotte Gainsbourg e Val Kilmer) per trasferirlo a Oslo non è sembrata la scelta più felice del mondo e fa un po’ tornare alla mente quelle serie tv americane che sono il remake dell’originale scandinavo, ma non sono mai “come l’originale”. Per dirne una.

Ma facciamo un passo indietro, torniamo allo stropicciato e alcolizzato Harry Hole e alla sua indagine: alla scoperta che dietro la sparizione di una donna c’è un mistero che si ripete al cadere della prima neve dell’anno a Oslo e a Bergen, che sta affacciata sui fiordi. Alfredson utilizza l’ambiente come deve, trasformandolo in un personaggio a se stante, parte in causa della vicenda e autentico “attore” degli eventi. Il meccanismo è dichiarato: il gelo della colonnina di mercurio dovrebbe trasmettere allo spettatore quel disagio che i personaggi vivono per ciò che sta accadendo nelle loro esistenze. Hole scava e indaga con le mani nella neve tra madri abbandonate e figli senza padri. Mentre l’azione è ridotta quasi al minimo e la suspance affidata quasi esclusivamente alle caratteristiche del luogo e a pochi colpi di scena. Alfredson che con La talpa aveva regalato un’autentica lezione di stile e di equilibrio qui sembra come “congelato”, incapace di andare oltre cose già viste e - soprattutto - dentro quella parte più viscerale del racconto, che resta invece appena accennata e appare, in chiusura del caso, quasi come un pretesto. Quei legami familiari complessi, i traumi irrisolti, che finiscono per sciogliersi come neve all’innalzarsi della temperatura. I lettori della serie ritroveranno le atmosfere e alcune dinamiche dei romanzi e a qualcuno potrà bastare. Gli altri, gli appassionati del genere arriveranno magari a scoprire l’intreccio prima del tempo, perché la ricerca del “colpevole” è solo uno degli elementi in gioco in questi thriller (e nemmeno il più importante). Trasformando di fatto il ghigno “dell’uomo di neve” in quello di un “pupazzo”. Ma l’impressione - mano a mano che i minuti passano e ci si avvicina alle quasi due ore di racconto - è che molto, quasi tutto, sia rimasto dentro la penna dello scrittore e che sullo schermo sia rimasto poco di originale

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