L’INTERVISTA Vergassola e l’arte di scompaginare realtà e fantasia per vivere meglio

Il comico e scrittore giovedì sarà protagonista di uno degli appuntamenti di Book City a Lodi

Dario Vergassola non è solo un comico nato (e noto), l’inventore delle “interviste scorrette” e il protagonista di tanti format televisivi di successo. È anche un cantautore, un autore teatrale e un fine (e prolifico) scrittore. La sua ultima opera letteraria, “I malefici. Ovvero la casa delle storie strampalate”, appena uscita per Baldini + Castoldi, è una fiaba moderna e ironica (c’è anche un musical realizzato dalla Fondazione Aida) in cui i protagonisti sono i cattivi, descritti come persone che sì possono sbagliare e fallire, ma non per questo irrecuperabili. «La domanda di partenza è: com’erano, da bambini, i cattivi delle fiabe? Ho pensato di mettere quattro “caratteri” in un ascensore: tutti stanno andando nello studio dello psicanalista, e tutti soffrono di disturbi sempre più comuni nella società di oggi. C’è la Grimilde di turno che ha problemi di autostima, che si spara i selfie ogni momento e che è dipendente dai social; il Lupo cattivo che in realtà è un vegano sotto copertura… Man mano che l’ascensore sale, si svela la natura di ognuno». Il tema del libro verrà sviscerato giovedì (ore 18, Sala dei Comuni presso la sede della Provincia di Lodi in via Fanfulla 14) durante la chiacchierata con Fabio Francione, nell’ambito degli appuntamenti lodigiani di Book City Milano in calendario dal 15 al 19 novembre.

In questo volume c’è anche una sorta di legame con la storia privata di Dario Vergassola. Lei non ha mai nascosto di soffrire di ansia e di attacchi di panico…
«La cosa più complicata è aprirsi agli altri. Chi non ha mai avuto questi disturbi, difficilmente riesce a capire cosa significa avere l’ansia o provare il panico. Io stesso non sapevo come spiegare questi momenti di disagio: dico che l’ansia l’ho inventata io. È importante parlarne: con i famigliari, con gli amici, con gli insegnanti, e, se è il caso, affidarsi a un professionista. In modo molto sereno: perché quando si soffre di mal di denti si va dal dentista. Nei confronti della salute mentale c’è ancora un po’ di reticenza. Certo, fortunatamente i tempi sono cambiati, ora anche attori e rockstar ne parlano apertamente».
Un tempo non era così…
«Una volta ci si nascondeva. Si provava quasi un senso di vergogna. Mia mamma mi diceva: hai tutto, hai un lavoro, una moglie. Ma non è questo il punto. Il primo passo è la condivisione. Il disturbo risulta ancora tabù non tanto per chi ne soffre, quanto per la generazione dei genitori. Sento di ragazzi che hanno problemi alimentari o che non riescono a uscire di casa. Sono nuove forme di depressione. L’ignoranza è sottovalutare questi sintomi, dire “non ha niente”. Le malattie sono tutte brutte, ma queste sono più subdole. Serve maggiore informazione».
Ha partecipato a “Pechino express” con sua figlia Caterina. La vostra squadra si chiamava “Gli ipocondriaci”. Come è riuscito ad affrontare questa avventura?
«I nostri zaini, per metà, erano pieni di farmaci. Ogni momento pensavo di avere qualcosa, una volta anche una paresi alla faccia, ma era colpa della mascherina che ho tenuto in aereo. È uscito però anche un potenziale che non immaginavo di avere: in una situazione senza comodità, i bisogni primari prendono il sopravvento. In base al contesto ci si assesta diversamente. Diciamo che uscire dalla quotidianità può servire. Anche se poi, una volta a casa, tutto torna come prima».
Arriva dalla provincia: nato e cresciuto a La Spezia. Si riesce prima o poi a fuggire dalla provincia o la provincia ci rimane appiccicata per sempre?
«La provincia è la famosa placenta. È quella sicurezza che sentiamo addosso. Le tre gocce di ansiolitico. Nei bar, e per bar intendo quelli “sani”, dove si va a chiacchierare con gli amici, impari a essere ironico, a non prenderti sul serio. La provincia è una specie di sedazione buona, senza controindicazioni. Non ci si può staccare dalla provincia. Anche se è vero che in alcune circostanze può tarparti le ali: io ho la fortuna di frequentare anche le grandi città, ma le mie radici, il mio modo di essere sono sempre qui, a Spezia».
Cosa vuole fare Vergassola da grande?
«Noi ipocondriaci abbiamo sempre il pensiero che non arriveremo a dopodomani. Dico sempre che il momento più bello è quando fai la tac e non hai niente. Ovviamente mi piace giocare con i miei problemi: senza ironia e autoironia sarebbe molto dura. E qui si torna alla provincia: i liguri hanno tanti difetti, ma sono molto autoironici, caustici, a tratti cinici, poetici. Per sopravvivere non possono mai mancare fantasia e immaginazione».

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