Libertà ai tempi del Covid: «Le norme l’unica difesa»

La scrittrice lodigiana protagonista stasera con Gherardo Colombo di un incontro in streaming organizzato dall’Ordine degli psicologi della Lombardia

Cosa significa, nel 2020, essere liberi? Tra norme, vincoli e responsabilità individuali, il concetto ha assunto nuovi significati, soprattutto in relazione all’“altro”. La pandemia ha sparigliato le carte: oggi tutti devono rinunciare a quote di libertà a favore di un bene superiore, la tutela della salute, nostra e altrui. Risuonano le parole sempre attualissime di Giorgio Gaber, “La libertà non è uno spazio libero”, frase scelta come titolo del webinar organizzato dall’Ordine degli psicologi della Lombardia e dalla Casa della psicologia in programma questa sera alle 21. Tra gli ospiti, insieme al magistrato Gherardo Colombo e allo psichiatra Stefano Bolognini, sarà presente anche la scrittrice lodigiana Ilaria Rossetti, autrice del pluripremiato romanzo “Le cose da salvare”. L’incontro ruoterà attorno ai concetti di libertà individuale e bene collettivo: «Mi interessa affrontare il tema dal punto di vista narrazione della pandemia – spiega Ilaria Rossetti -. Il nostro concetto di libertà è stato viziato in parte dal modo di raccontare. A marzo spopolava l’hashtag “Io resto a casa”, come fosse una scelta individuale più che una regola da seguire. Le norme rappresentano l’unico muro rimasto tra noi e il contagio: la scorsa primavera eravamo più disponibili, oggi siamo più fragili, anche chi si è sempre comportato correttamente accusa una sfiducia crescente. È giusto che la collettività si debba sentire responsabilizzata, ma ci sono compiti che spettano soltanto alle istituzioni».

Il “senso di colpa” spesso scaricato sui cittadini non può bastare a colmare le falle di un «sistema che avrebbe dovuto funzionare meglio: penso ai trasporti, al tracciamento dei contagi, ai vaccini anti-influenzali ordinati in ritardo – continua la scrittrice lodigiana -. Si fa spesso ironia sul senso civico degli italiani, ma sono convinta che la grande maggioranza dei cittadini abbia rispettato le regole. Imputare ogni colpa ai comportamenti individuali è una scappatoia, poco credibile e anche insultante». L’emergenza ha inasprito profondamente anche gli annosi problemi del settore cultura, relegato tra i comparti “non indispensabili”. «È emersa tutta la fragilità di un sistema. Il mondo della cultura e degli spettacoli produce un indotto economico importante, ma al suo interno presenta una serie di problemi portati a galla da questo particolare periodo storico. Paghiamo i finanziamenti pubblici brutalmente ristretti negli anni, paghiamo il fatto che la cultura abbia perso quella trasversalità che invece dovrebbe avere. I decreti non sono riusciti a rispondere alle esigenze dei lavoratori di questo settore perché è pieno di fragilità. Adesso siamo all’anno zero».

Come ripartire? «Per prima cosa, si dovrebbero garantire tutele dignitose per chi lavora in questo campo. E poi cercare di rieducare la collettività, far passare forte chiaro il messaggio che la cultura non è un ambito di Serie B. A lungo termine, credo che sia necessario dare una nuova regolamentazione al lavoro culturale: recitare, scrivere o suonare uno strumento non possono essere considerati soltanto hobby».

© RIPRODUZIONE RISERVATA