Ladri di fama sulla collina dei Vip

Se non posso essere lei voglio almeno essere vestita come lei. Come la star che sta sulle copertine e che abita sulla collina del successo, che non è poi così irraggiungibile. Basta essere scaltri e senza scrupoli per prenderseli, la fama e la collina.

Il successo uno può “rubarlo”: sta in un paio di occhiali o di scarpe all’ultima moda. In una borsa firmata o in un tubino. Non rubano soldi ma identità i ragazzi di Bling Ring, raccontati nel nuovo film di Sofia Coppola. Ladri di celebrità che letteralmente si trasformano nelle loro vittime, le star del cinema e della musica che poi imiteranno persino negli interrogatori o nelle interviste davanti al tribunale. Non cercano la cassaforte ma l’armadio quando fanno irruzione con incredibile facilità nelle ville di Paris Hilton, Orlando Bloom o Lindsay Lohan, vanno a caccia dei gioielli, degli accessori da indossare e di un’avventura da raccontare. Prima agli amici e poi, con costruito pentimento alla polizia e ai giornalisti.

I ladri indossavano scarpe di Christian Louboutins quando è arrivata la polizia a porre fine alle loro imprese, quelle messe a segno della banda della collina di Hollywood e svelate da un articolo di Vanity Fair del 2010 diventato celebre, per aver rivelato chi c’era dietro la clamorosa serie di furti ai danni dei Vip: un pugno di diciottenni che in pochi mesi aveva rastrellato un bottino di oltre tre milioni di dollari, parte in denaro ma soprattutto in oggetti che facevano sentire questi ragazzini come le loro star preferite. Sofia Coppola sceglie di racconta una storia vera che le offre contemporaneamente l’opportunità per una nuova incursione nel mondo degli adolescenti, raccontati da diverse angolature già nei film precedenti (da Il giardino delle vergini suicide a Lost in translation a Somewhere). E anche in questo caso le angolature sono diverse: il fatto di cronaca è sì centrale, nello sviluppo della storia, ma quello che più interessa alla regista è evidentemente la riflessione sulla fama e il rapporto che esiste tra gli adolescenti, figli del reality, e il successo. E il confronto con la vita reale.

La regista figlia d’arte e di un padre celebre, racconta una generazione che ha genitori completamente assenti o inconsapevoli, che ha molti punti di contatto con quella descritta da Larry Clark o dalla stessa Gia Coppola (nipote del capo-famiglia Francis e ultima leva della famiglia di cineasti) in Palo Alto. Registi che hanno descritto nei loro film ragazzi che sembrano senza un futuro, che in Bling Ring pare esistere solo riflesso in uno specchio distorto.

Importante è anche la scelta che fa Sofia Coppola di legare la sua riflessione al volto di Emma Watson, diva bambina ormai cresciuta, quella Hermione prima della classe trasformata qui in autentica “bad girl”, in capobanda determinata e con pochi scrupoli e un unico obiettivo. Una scelta, quella della protagonista, che innesca anche il dubbio che nel racconto di questa gioventù ci sia molto di autobiografico. In ogni caso Sofia Coppola preferisce non dare giudizi, ovviamente solleva interrogativi a cui non può dare risposte, preferisce seguire i suoi protagonisti mentre corrono apparentemente senza senso verso un precipizio. Solo apparentemente però: perché il “piano perfetto” della banda si compie proprio quando saranno le telecamere delle tv ad accendersi, quando attraverso il web, i social, i rotocalchi saranno finalmente i loro visi a finire sotto i riflettori. Chiudendo il cerchio di un meccanismo perverso che finalmente li ha messi sullo stesso piano di visibilità dei loro modelli. A cui dopo i gioielli hanno rubato anche la fama.

PRIMA VISIONE Se non posso essere lei voglio almeno essere vestita come lei. Come la star che sta sulle copertine e che abita sulla collina del successo, che non è poi così irraggiungibile. Basta essere scaltri e senza scrupoli per prenderseli, la fama e la collina...

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