La vita vera si perde nel Cerchio virtuale

Social vs realtà. Vite vere contro esistenze virtuali. Come spesso accade da una grande attesa nasce una piccola (grande) delusione. E da un libro anticipatore esce un film “vecchio” e ordinario. Accade così anche per The Circle diretto da James Ponsoldt tratto dal romanzo omonimo (del 2013) di Dave Eggers, film arrivato sullo schermo accompagnato forse da troppe (ma legittime) aspettative che finiscono in larga parte presto disattese. La firma dello stesso Eggers sul soggetto e il curriculum del regista (di cui si ricorda The End of the Tour - Un viaggio con David Foster Wallace) le garanzie che sembravano sufficienti e che si rivelano invece fragili.

Facciamo un passo indietro: il “Cerchio” del titolo è il campus in cui nascono le idee di una giovane e potente multinazionale della comunicazione digitale che - in un futuro non identificato ma molto prossimo - sviluppa e porta alle più estreme conseguenze il concetto di social. Qui viene assunta Mae Holland (Emma Watson) che da semplice impiegata è destinata a diventare in breve tempo la risorsa più importante dell’azienda e il simbolo di un mondo che annulla e disprezza la privacy. «I segreti sono bugie», «Condividere equivale a conoscere e prendersi cura»: le parole d’ordine all’interno del “Cerchio” sono pensate - prima d’essere amplificate da milioni di device - dai guru della società, Eamon Baeley-Tom Hanks gettato sul palco come uno Steve Jobs con meno carisma e il socio silenzioso Tim Stenton (Patton Oswalt) che influenzano una platea di adepti destinata a trasformarsi in una specie di setta. Presto l’illusione del potere salvifico della trasparenza totale si trasformerà in una dittatura pericolosa e anche agli occhi non più innocenti di Mae prenderanno forma tutte le contraddizioni che alimentano il sistema. Ma per molti versi sarà troppo tardi.

Troppo tardi per alcuni dei personaggi che nel frattempo avranno fatto una brutta fine e troppo tardi anche per il film che avrà in breve tempo consumato tutto quello che aveva da dire senza andare troppo in profondità, senza lasciare mai davvero il segno e senza regalare sfumature agli attori e alle vicende.

The Circle si limita alla superficie, non diventa mai “politico” ed è debole quando immagina uno scenario distopico, disegnato meglio altrove. Ingeneroso sarebbe citare The social network di Fincher, in cui il biopic prendeva le forme di un romanzo intimo, ma il paragone non regge nemmeno con film meno innovatori e con serie tv che hanno affrontato lo stesso tema. L’impressione è che The Circle manchi sia in fase di scrittura (tra le altre cose è davvero poco emozionante) che in un’idea di regia che vada oltre l’uso di una camera messa a mo’ di smartphone per rimandare la soggettiva della protagonista, su cui incombono gli occhi e gli schermi di un grande fratello che invece di somigliare a quello orwelliano sembra quello “povero” della nostra tv. Tra personaggi che si perdono lungo la strada (il misterioso fondatore Ty messo da parte ma ancora con tutte le chiavi d’accesso, l’amica Annie che si ammazza di lavoro prima di scoprire il raggiro e l’improbabile manager Tom Stenton) slogan e proclami arriva la svolta drammatica più attesa che comunque non alza il livello dell’emozione (né tantomeno quello della riflessione sugli argomenti trattati). La grande bugia di un mondo “trasparente” e perennemente pubblico a quel punto - secondo gli autori - sarà svelata ma era già sotto gli occhi di tutti da un po’.

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