La terza Biennale lodigiana

Un cambio di formula che dalla non esaustiva esemplificazione di ogni artista attraverso una sola opera passa a ridurre il numero dei protagonisti, ciascuno più ampiamente rappresentato; e un contenitore, quello dello spazio Bipielle Arte, con prerogative di allestibilità e valorizzazione delle opere impensabili per la chiesa di San Cristoforo che ha ospitato le precedenti edizioni dell’iniziativa. Questi i presupposti del migliorato livello qualitativo della Biennale d’Arte di Lodi, inaugurata sabato scorso nella sua terza edizione. E, come ulteriore concomitanza, l’attenzione riservata alle ricerche delle ultime generazioni (tra i 25 e i 36 anni sono Mattia Montemezzani, Gabriela Bodin, Annalì Riva, Federico Romero Bayter, Kikoko, Andrea Mariconti, Mario Branca, Hervé Barbieri), che nelle intenzioni degli organizzatori si legano a quelle della generazione di mezzo (Agostino Arrivabene, Abele Vadacca, Angelo Palazzini, Domenica Regazzoni, Ivano Vitali) e alle più datate esperienze di Simonetta Ferrante, Antonio Tonelli, Giuseppe Rivadossi, Yang Sil Lee, Giancarlo Nucci e Carlo Bertocci, per cercare con la rappresentatività dei linguaggi un possibile percorso, qualche risposta rispetto alle complesse linee di tendenza dell’arte attuale. Per questo, lo ha ricordato nella presentazione Gianmaria Bellocchio, il presidente dell’Associazione Monsignor Quartieri promotrice dell’iniziativa, è Il diario del viaggiatore del pittore togolese Kikoko il simbolo di questa Biennale che colloca le opere in successione temporale, la stessa utilizzata per il catalogo, amalgamando pittura e scultura, territorialità e sguardi sul panorama nazionale; con l’aggiunta di un omaggio al lodigiano Mario Ottobelli nel decennale della morte, in sei quadri tematicamente rappresentativi. Tra i sette scultori, i lavori in cemento, bronzo o terracotta smaltata del cremasco Barbieri convincono per il solido plasticismo e la sintesi rigorosa dell’inventiva definizione formale; di raffinatezza orientale le allusive terrecotte policrome della coreana Sil Lee, costruite nelle colorazioni calde di filamenti o rilievi tondeggianti. Branca reinterpreta fiabescamente la natura con pezzi di rame ossidato per una scultura come assemblaggio, mentre la Regazzoni celebra con variazioni bronzee e lignee intorno al motivo del violino, e con essenziali tavolette polimateriche, il ricordo del padre liutaio. Ecologiche le sculture-installazioni di Vitali impieganti pagine di quotidiani; formalmente differenti le due raffigurazioni di Rivadossi, e immerso in un itinerario interattivo di luci e suoni l’Angelo caduto di Vadacca in marmo Candoglia. Per la pittura ci sono le calligrafie musicali di Simonetta Ferrante e i cieli stellati e i soggetti religiosi di Tonelli, l’informale di Nucci e le graffiate monocromie metropolitane del colombiano Bayter. Il grande trittico del toscano Bertocci, di figurazione iperrealista e denso di simbologie, evoca silenzi metafisici; Palazzini, che vedremo in febbraio in un’antologia in questo stesso spazio, conferma la verve surreale espressa tra lucide corposità e trasparenze cromatiche di consolidata esperienza tecnica, mentre l’iconografia di suggestione mitologico-letteraria trova espressione nelle antiche tecniche pittoriche riprese da Arrivabene. Sempre eleganti le immagini dipinte con cenere e petrolio di Mariconti, specie nelle opere di non ampio formato; il modellato a contrasti di chiaroscuro convince nei lavori recenti di Montemezzani che aboliscono qualunque effetto di materia, e Kikoko riconferma le doti di grande colorista visionario nella materica accuratezza di esecuzione. In evoluzione la rumena Bodin, concentrante nelle figure femminili l’uso del colore che ne ha rinvigorito il linguaggio, e la casalina Annalì (Annalisa Riva), più determinata nelle attuali “stanze dei sogni” emergenti dalle superfici patinate.

Marina Arensi

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Biennale d’arte

Terza edizione, Spazio Bipielle arte, via Polenghi Lombardo, Lodi (fino al 21 novembre)

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