LA MOSTRA Mario Giacomelli, il fotografo poeta

A pochi fotografi è toccato l’onore e forse l’onere di essere riconosciuti e di portare, pertanto, il peso di un’immagine. Nel caso di Mario Giacomelli gli si sono appiccicati addosso gli scatti che ritraevano pretini giocosi, fissati per sempre in atteggiamenti e pose che ne mostravano il tratto “giullaresco”, quasi in senso ingenuamente francescano. Estremamente umano e per nulla lontano dal loro “officium”. Ma, nel centenario della nascita, toccato quest’anno al fotografo marchigiano e opportunamente doppiato nelle retrospettive antologiche romana e milanese, al Palazzo delle Esposizioni della capitale con “Mario Giacomelli. Il fotografo e l’artista” e soprattutto a Palazzo Reale nel capoluogo lombardo con l’eccezionale e sorprendente “Mario Giacomelli. Il fotografo e il poeta” (fino al 7 settembre prossimo, catalogo Silvana Editoriale, a cura di Bartolomeo Pietromarchi e Katuscia Biondi Giacomelli). Fotografia e poesia un binomio all’apparenza in contrasto per comunicazione e fruizione, ma mente e occhio spesso vanno d’accordo e l’una da fuoco agli altri e viceversa. Un’energia che è amplificata dal mezzo di riproduzione. Giacomelli, infatti, nella sua lunga carriera non si oppone a tale situazione, Anzi, l’origine marchigiana, il paesaggio della sua terra, il rapporto intrattenuto per tutta la vita con Leopardi e artisti come Alberto Burri, gli aprono squarci di realtà che non sono alternativi a ciò che i suoi scatti fermano per sempre. Per spiegare ciò è Giacomelli stesso a dirlo: «il tempo sta fluendo nella mia camera, nei campi, nella mia strada, il tempo mi fa paura: è il tema delle mie fotografie [...] il perché delle mie ultime serie di fotografie che raccontano poesie». Ma la poesia era per lui dentro e davanti anche quando non affrontava esplicitamente i suoi testi. Lo stesso impulso verso il naufragio e il trionfo, la stessa cupidigia di totalità qualunque sia il frammento particolare.

Fabio Francione