La lezione di Sorge

per i cinquant’anni

del Vaticano II

«Il Concilio Vaticano II compirà l’11 ottobre cinquant’anni, ma siamo ancora lontani dall’averne capito lo spirito e applicata la visione». Così in sintesi l’intervento che padre Bartolomeo Sorge, gesuita, editorialista, osservatore di almeno cinquant’anni di storia italiana, ha tenuto mercoledi sera a cascina Roma di San Donato tenendo inchiodata l’attenzione di un centinaio di presenti. Invitato dall’associazione culturale “Giuseppe Lazzati” l’ex direttore di «Civiltà cattolica», oggi direttore emerito di «Aggiornamenti sociali», 83 anni portati con ironia, ha guidato i presenti in un’affascinante esplorazione del senso dell’essere credenti in una Chiesa che annuncia Cristo dentro un’umanità globalizzata che ben difficilmente tornerà indietro dalla tecnologia, dalla comunicazione, dal meticciato. Padre Sorge, che ha appena scritto assieme ad Aldo Maria Valli Oltre le mura del tempio (Edizioni Paoline Milano), ritiene che per capire come la Chiesa può essere centrale anche nella postmodernità bisogna tornare ad approfondire un evento che accadeva esattamente mezzo secolo fa, aprendosi l’11 ottobre 1962. «Ancora oggi si calcola il grande concilio aperto da Giovanni XXIII e portato a termine da Paolo VI come “uno dei tanti” - dice il sacerdote che già vent’anni fa aveva scritto Uscire dal tempio - come l’ultimo di venti concìli tenuti dai successori di Pietro». Il Vaticano II invece è unico; qualitativamente diverso perché ha «orientato in modo differente la comunità dei fedeli, ha ripensato il concetto stesso di Chiesa». Secondo Sorge da quella grande stagione conclusa l’8 dicembre 1965 uscirono pronunciamenti che nella loro colossalità necessiteranno forse di secoli per essere compresi e tradotti. Il primo è che «la Chiesa non è una società perfetta visibile, ma una società spirituale. Ciò comporta il superamento del clericalismo e del temporalismo, senza identificazione fra Chiesa e potere civile». Un altro: «La Chiesa non è la comunità dei cattolici e neppure dei cristiani, ma la società di tutti gli uomini, anche i non credenti». Ancora: «L’annuncio evangelico, in sé eterno, vive però nella storicità. Il che significa: appare in sempre maggiore luce coll’avanzare del divenire storico che altrimenti non ha senso. Per questo noi oggi possiamo dire con ragione di conoscere Gesù Cristo meglio di chi lo vide direttamente». E a chi chiede «dove è Dio?», alla luce della maturità dei laici non si deve indicare la gerarchia: «Dio è nelle Scritture». Mercoledi a San Donato tuttavia l’illustre ospite della “Giuseppe Lazzati” ha spezzato una lancia anche a favore di una certa fermezza rispetto alla tradizione: «Non possiamo ordinare donne sacerdoti - ha detto - non per maschilismo ma per fedeltà al racconto evangelico». Sì invece ai laici ministri del culto, purché ovviamente non officino sacramenti: «Sono d’accordo coi preti austriaci che vogliono affidare le parrocchie ai non ordinati».

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