La grande truffa della leggenda del ciclismo

Una storia perfetta, esemplare, appassionante. E non era vera… Finti i trionfi, finta la fatica, falso il successo. Erano vere le montagne, quelle sì, le strade e le salite del Tour che spaccano le gambe ai corridori. Ma era finto il più forte di tutti, l’eroe che per anni aveva ingannato il mondo intero andandosi a rubare un traguardo che non gli spettava. Alla fine ha dovuto ammetterlo lui stesso, Lance Armstrong - in lacrime in televisione -, che quelle sette vittorie al Giro di Francia erano state conquistate con l’inganno, grazie al doping dell’Epo e la sua storia è apparsa da subito come un film, la sceneggiatura perfetta per un thriller sportivo, per un dramma umano che è ancora adesso difficile da decifrare e comprendere. La storia dell’uomo coraggioso che aveva battuto il male, era riemerso dall’abisso per conquistare il successo. Prima di cadere rovinosamente assieme al castello di falsità che aveva costruito.

Steven Frears racconta così, come un giallo, la vicenda di Lance Armstrong il campione di ciclismo americano rimasto senza titoli. The program è la storia di un truffatore, di un ladro di sogni, la parabola esemplare di un uomo dei nostri tempi disposto a fare di tutto pur di raggiungere il proprio obiettivo. Il film (che si basa sul libro Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong scritto dal giornalista David Walsh) parte dagli anni ’90, dagli esordi al Tour de France del ciclista americano - un buon atleta che non sarebbe mai stato inserito tra i favoriti della gara più dura di tutte - e passa rapidamente agli eventi cruciali della sua carriera: l’incontro con il medico italiano Michele Ferrari (che ha avviato un’azione legale contro il film) indicato come l’inventore del “Programma” - il sistema di doping utilizzato da Armstrong e dai corridori della sua squadra - e quindi le prime vittorie, il successo. E la diagnosi del tumore, con la caduta e la “resurrezione”. E, ancora, i sette titoli consecutivi all’Arco di trionfo. A Frears interessa poco la biografia, il racconto delle tappe e delle gare vinte, il regista cerca piuttosto la maniera di avvicinarsi il più possibile all’anima, all’uomo, per scoprire chi si nascondeva dietro questa figura di sportivo all’apparenza esemplare, campione impegnato con la sua Fondazione a raccogliere fondi per la lotta al cancro, che nello stesso istante si iniettava dosi massicce di Epo, in grado di alterare il suo sangue, la sua stessa salute, e tutti gli ordini di arrivo delle gare a cui partecipava. Così facendo il regista perde però di vista il ciclismo, lo sport e la sua epica, che sono totalmente assenti dal film, che appare un po’ troppo didascalico.

«La differenza la fa la voglia. Per vincere non bastano le gambe» pensa presto Armstrong che diventa in breve tempo l’eroe di un circuito che isola chi denuncia le corse sospette e si nasconde dietro analisi inefficaci. L’ingranaggio più importante di un meccanismo che vive di irregolarità nascoste e di omertà. Frears non è tenero con l’intero movimento ma The program è già lanciato in discesa, impegnato a decifrare Armstrong, una personalità complessa capace di mentire sulla sua stessa malattia, un uomo forse prigioniero della sua menzogna. Un antieroe raccontato dal regista in un dramma a tinte nere, il cui protagonista è un truffatore che non rubava denaro ma, se possibile, faceva di peggio: ingannava chi credeva in lui e nella sua storia perfetta.

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