La grande scommessa (persa) da Wall Street

Guadagnare un miliardo di dollari e sentirsi il mondo crollare sotto i piedi… Sentirsi male per aver scommesso contro l’America e il suo intero sistema economico che si stava sbriciolando sotto i piedi. Possibile che nessuno se ne sia accorto? Possibile che nessuno abbia visto mentre tutto questo stava accadendo? Eppure era lì davanti agli occhi di tutti…

La grande scommessa (ma il libro di Michael Lewis su cui il film è basato aveva un titolo più esplicito: The big short, il grande scoperto) racconta la storia (vera) di un gruppo di investitori che nel 2007 intuì in anticipo cosa stava accadendo sul mercato americano, anticipando di fatto lo scoppio della crisi del 2008.

«Scommetto che molti di voi non hanno ancora capito cosa è successo» ammonisce la voce narrate all’inizio del suo racconto… e probabilmente è vero, a ogni latitudine. Non avevano di certo capito nel 2007 gli americani, la gente comune che continuava a pensare al baseball e al gossip mentre si stava scatenando la tempesta. Altri invece non avevano voluto capire…

«Non è ciò che non conosci che ti mette nei guai…», ma anche «La verità è come la poesia. E la maggior parte della gente odia la poesia» cita il regista passando da Mark Twain a una conversazione raccolta in un bar di Wall Street. Il fatto è che la bolla speculativa e i segni del crollo erano evidenti e solo un meccanismo marcio e incapace non ha potuto, o voluto, scovarli. Con uno stile quasi documentaristico, procedendo all’inizio come Michael Moore con il desiderio d’essere il più chiaro possibile, ma armandosi poi di una robusta dose di ironia Adam McKay mette a nudo, senza retorica, senza un briciolo di ipocrisia, un sistema marcio fino al midollo. Un mondo, quello di Wall Street, ma anche dei palazzi di governo, che ha continuato a ripetere come un mantra che «il mercato immobiliare – su cui tutto il sistema si reggeva – era solido», arrivando forse anche a crederci quando in strada già c’erano i segni della “guerra”. Mentre scoppiava la più drammatica crisi finanziaria d’America, causata e gestita da funzionari impreparati, in perenne gita premio ai tavoli da gioco di Las Vegas. McKay usa l’ironia per decifrare una materia complessa e per mettere all’angolo un paese intero, una nazione che era affacciata sull’orlo del baratro e non ha voluto guardare giù, preferendo continuare a sorseggiare cocktail a bordo piscina. Non ci sono eroi in questo tragico racconto, non ci sono miliardari felici e purtroppo, alla fine, non ci saranno nemmeno punizioni. Responsabili invece quelli sì, e tanti. Economia, politica, persino il baseball: «Credevo fossimo migliori di così», riflette a un certo punto sconsolato ad alta voce il trader Mark Baum. Sua è la figura chiave del racconto, suo il travaglio dell’americano che scommette contro il suo stesso sistema e, tragicamente, vince…

Arricchito da una colonna sonora bellissima, da un pugno di interpretazioni clamorose (si permette un cast con Brad Pitt, Christian Bale, Steve Carell e Ryan Gosling…) e da alcuni virtuosismi che il regista si concede, come quando mette la diva “teen” Selena Gomez al tavolo del black jack a spiegare la truffa dei CDO come una catena di scommesse sempre più grandi sui prestiti difettosi, La grande scommessa è per molti versi una rivelazione. E’ un film sulla verità e sulla fiducia tradita, ma prima ancora è un film (spietato) sull’America. Una storia - vera, recente - che non ha vincitori e ha una chiosa tragica sui titoli di coda, che dimostra come alla fine la Storia, questa volta con la maiuscola, non insegni nulla a noi che continuano a fare gli stessi errori.

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