Si può raccontare la Bibbia come se fosse un’appendice del Signore degli anelli, senza fare una gran confusione, inciampare in involontarie comiche situazioni e incorrere quindi nelle ire di quanti chiedono il massimo rispetto del testo (sacro)?
Darren Aronofsky per il suo libero adattamento alla storia di Noè sceglie un approccio dichiaratamente laico e marcatamente “fantasy”, in apparenza incurante delle reazioni dei fedeli di ogni confessione religiosa, anche se la stessa produzione del film con atteggiamento assai più prudente sottolinea in tutti i materiali distribuiti che di “libera interpretazione” si tratta e che di licenze artistiche si deve parlare, di fronte a questa nuova versione della storia del diluvio universale. Il contenuto del libro della Genesi deve quindi rimanere una sorta di spunto, un sottofondo su cui il regista cuce un romanzo fantasy, e in cui le licenze artistiche sono davvero troppe.
Noah è scritto con Ari Handel, con cui Aronofsky già aveva realizzato la sceneggiatura di The Fountain - L’albero della vita (pure quello pretenzioso e scarsamente ispirato) e in diversi passaggi non è difficile ritrovare tracce di quel film, così come (dal punto di vista stilistico) tornano i segni della graphic novel realizzata sulla prima stesura di questo stesso progetto. Noè sullo schermo appare come un genitore premuroso e vegetariano, ultimo discendente della stirpe di Set che assiste all’assassinio del padre per mano dei discendenti di Caino, ma è pronto a trasformarsi in un guerriero per difendere la sua famiglia prima e la sua “missione” poi. In fuga in un mondo desolato e dominato dalla violenza vede in sogno il destino tragico della terra e inizia a costruire l’Arca aiutato dai giganti di pietra che un tempo vigilavano sulla sua stirpe.
Il debito con la letteratura cosiddetta fantasy è altissimo in Noah e presto, tra fuochi magici e fiori che spuntano dal deserto, ci si dimentica quasi dell’episodio biblico che dovrebbe essere il cuore del film. La riflessione sulla salvezza dei giusti e sul peccato, sul perdono e sulla misericordia, diventa schematicamente un problema di vendette e di odio, in un contesto che si prende anche terribilmente sul serio. Il “Creatore” è descritto come muto e vendicativo, una sorta di divinità che getta nel dubbio e nella disperazione Noè e rimane sempre distante. Tra battaglie, foreste magiche e un 3D decisamente superfluo quello che manca totalmente è il senso di spiritualità e di contatto con l’assoluto, elementi centrali in questo episodio dell’Antico Testamento. Aronofsky mostra i muscoli e una vaga ispirazione new age che dovrebbe compensare la fedeltà al testo. Non gli mancano certo le capacità visive e nemmeno i riferimenti artistici per creare un inferno dantesco quando deve descrivere la degenerazione del mondo condannato dal “Creatore”, ma perde del tutto credibilità quando aggiunge episodi (come l’intruso all’interno dell’Arca che stermina alcune specie animali come niente fosse o i poteri magici affidati a Matusalemme) e avanza ipotesi che non sono nelle sue corde (la condanna divina per uno sfruttamento esasperato della terra). Noah a questo punto potrebbe essere l’episodio di una qualsiasi saga di “troni e di spade”, una marmellata in cui è entrato un po’ di tutto, ed è rimasta fuori la parte più importante: Noè stesso. Che per lunghi tratti è descritto come un invasato e al termine rimane un personaggio avvolto dal mistero.
Aronofsky cullava da decenni il desiderio di portare sullo schermo questo suo progetto e per questo ha realizzato un kolossal che dichiaratamente voleva dividere, spaccare in due il pubblico tra favorevoli e contrari. Ma il suo film finisce per essere assai meno innovativo dei suoi lavori precedenti più ispirati, un ambizioso fumetto che manca di sfumature e di profondità e che al termine rischia d’essere travolto dal diluvio.
PRIMA VISIONE Si può raccontare la Bibbia come se fosse un’appendice del Signore degli anelli, senza fare una gran confusione, inciampare in involontarie comiche situazioni...
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