Jeeg Robot, supereroe di borgata

Jeeg Robot, il cartone, non c’è. Anzi sì. Manga, supereroi, fumetti: ci sono eccome, anche se non si vedono. Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti è così: difficile da etichettare. Perché è tante cose insieme. E, diverse di queste (cose) buone. È un film su un supereroe, ma un supereroe di periferia, anzi di borgata: profonda borgata romana, Tor Bella Monaca per la precisione dove vive e sopravvive Enzo Ceccotti, prima e durante la sua trasformazione in eroe. Supereroe anzi, con una forza smisurata come potere a bilanciare la precarietà di tutto il resto. Proprio come se fossimo in un episodio Marvel o DC Comics gli tocca diventare un paladino dei giusti e degli ultimi nonostante non sia nemmeno sfiorato dall’idea, investito di poteri e missione a dispetto di tutto e innanzitutto di se stesso. Mentre scappa Enzo, e siamo all’inizio del film, inseguito per un regolamento di conti, è costretto a gettarsi nel Tevere dove entra in contatto con una sostanza misteriosa che scatenerà il suo cambiamento.

Ovviamente questo è solo il principio e tutto deve ancora avvenire, e Mainetti (con Nicola Guaglianone che è autore di soggetto e sceneggiatura) tutto fa succedere esattamente come se fossimo in un “vero” film di supereroi. Ma senza prendersi troppo sul serio. Ed è questa la “vera” forza. Descrive l’evoluzione del suo personaggio (un Claudio Santamaria ingrassato e imbolsito per entrare bene nella parte del perdente che si riscatta) e poi i suoi antagonisti (su tutti Luca Marinelli, boss di quartiere e cattivo fin troppo sopra le righe che si trasforma in una sorta di Joker coatto che ama il pop anni Ottanta), e intreccia una trama gialla su cui tutto deve svolgersi e trovare un proprio posto.

Questo nelle intenzioni, che all’inizio funzionano e son ben realizzate sullo schermo e poi via via assai meno, per via di un desiderio irrefrenabile di strafare, di aggiungere per cambiare genere, per aumentare citazioni, spiazzare lo spettatore con giochi che però ai più avveduti risulteranno stucchevoli.

Procedendo con ordine comunque Mainetti dimostra una gran bella vivacità e pure del coraggio, scegliendo questa impronta per il suo film. Un’opera di un “genere” certo non molto frequentato dal nostro cinema oggi, ma che regista e autori mostrano di conoscere e soprattutto di amare. Le citazioni che seminano lungo il percorso sono lì a dimostrarlo, e il manga di Gō Nagai è solo una di queste. Sono gli anni Ottanta a tornare innanzitutto e soprattutto alla memoria, il cinema, la cultura, la musica. Riaffiorano sulle note della sigla di quel cartone (con una versione cantata da Santamaria che è già diventata virale in Rete) e a riaffermarsi in tanti collegamenti. Più forti ancora della passione per i supereroi. Lo chiamavano Jeeg Robot è intrattenimento allo stato puro, all’anteprima durante la Festa del cinema di Roma non si contavano gli applausi a scena aperta, anche per via di qualche “furbata” del regista che sembra messa apposta per il pubblico di casa e che rischia però di “regionalizzare” troppo il prodotto finale e la sua distribuzione. Mainenti vuol far divertire e non si risparmia, mischiando alto e basso, inzeppando la storia all’inverosimile di svolte, snodi e virate all’eccesso. Un po’ troppe in verità, e non tutte indispensabili. Tutto fino ad andare a chiudere proprio come nei film “seri”, con il suo eroe, ormai nel ruolo, che si prepara alla nuova puntata. Sarà il giudizio del pubblico (e quindi il successo) a decidere se e quando questa ci sarà. Intanto Roma ha trovato il suo eroe (super).

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